La Procura di Catania ha chiesto il rinvio a giudizio per due ambulanzieri accusati della morte di alcuni pazienti terminali dell’ospedale di Biancavilla. Si tratta di Davide Garofalo, già in carcere nell’ambito dell’inchiesta, e Agatino Scalisi. Nei loro confronti la pubblica accusa ipotizza responsabilità ben precise dietro la morte di almeno quattro pazienti: Salvatore Gagliano, Agatina Triscari, Salvatore Cadile per Davide Garofalo, Maria Giardina per Agatino Scalisi. L’udienza per decidere sul rinvio a giudizio si terrà nell’ottobre prossimo.
Il caso della cosiddetta “Ambulanza della morte” esplose nel dicembre dello scorso anno grazie alle ripetute inchieste della trasmissione Le Iene di Italia 1.
Secondo quanto ha raccontato una “gola profonda” che conosce da vicino il modus operandi, dentro l’ambulanza i pazienti venivano eliminati con una iniezione di aria nella vena del malato. All’accusa di omicidio volontario si aggiunge l’aggravante di avere favorito le consorterie mafiose della zona di Biancavilla (clan Mazzaglia-Toscano-Tomasello) e Adrano (clan Santangelo), già decimate dalle operazioni antimafia denominate “Onda d’urto” e “Reset”.
“I clan – ha spiegato il sostituto procuratore della Dda Andrea Bonomo – controllano la gestione delle onoranze funebri. I profitti che riguardano il trasporto in ambulanza sono di pertinenza degli ambulanzieri e del clan”.
Il personale non sanitario – si tratta , infatti, di ambulanze private – viene assunto su precisa indicazione dei clan. La presenza quotidiana di ambulanze private nell’ospedale di Biancavilla, come nel resto di quasi tutte le strutture ospedaliere del Catanese, viene tollerata dai medici e dai dirigenti sanitari.
A Biancavilla il meccanismo si metteva in moto quando dall’ospedale “Maria SS. Addolorata” tornava a casa il malato in gravi condizioni, cui restava poco tempo da vivere. Una sorta di pietosa concessione ai familiari del paziente affinché il malato muoia tra le mura di casa propria. I medici, a quanto pare, erano all’oscuro di ciò che succedeva dentro l’ambulanza.
Dentro l’ambulanza quasi sempre c’era solo il barelliere che praticava la puntura in vena al malato provocandone la morte per embolia gassosa. La presenza di bolle all’interno della circolazione sanguigna provoca in un tempo ridotto il decesso del paziente.
“Con un assoluto disprezzo della vita umana, – hanno sottolineato i magistrati – veniva anticipata la morte delle persone perché il trasporto della salma innesca ulteriori guadagni”.
“Vestire” il morto e segnalarne la presenza ad una delle agenzie di pompe funebri del territorio aumentava gli introiti dei barellieri.
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