Questa non vuole essere la storia di un uomo, ma un ricordo personale di colui che visse da onesto cittadino, amò la sua città natale Paternò di cui fu amministratore e sindaco e si spese interamente per la sua passione politica.
Era il 29 agosto del 2008 quando Gioachino Milazzo, debilitato da una lunga malattia, a causa di un’insufficienza cardiaca, a soli 76 anni lasciava nel dolore i suoi cari. Esponente della Democrazia Cristiana di lungo corso, da giovane era stato compagno di Francesco Giuffrida, Turi Sinatra e tanti altri esponenti con i quali ha condiviso l’esperienza dei comitati civici nella sezione del “Sacro Cuore” presso la chiesa del Monastero. Fu anche fraterno amico di padre Giuseppe Di Giovanni. Dopo i suoi funerali, sarebbe stato giusto dedicare a Milazzo un centro studi di formazione politica o impegnarsi per dedicargli una strada. Niente, neanche dopo dieci anni dalla sua morte. Quando passò a nuova vita, di certo nessuno, specialmente fra i suoi amici, avrebbe pensato che sarebbe calato un pesante sipario come limite di demarcazione fra la vita e la morte. Anche perché Gioachino Milazzo visse da protagonista una pagina storica, della città di Paternò.
Lavorò per la sua città svolgendo con onore il suo ruolo di politico-tecnocrate e coraggioso uomo quale lui era. E’ stato strano e imbarazzante, quindi, il silenzio in tutti questi dieci anni.
Perché relegare Gioachino Milazzo nell’oblio? Giorni addietro è bastato far circolare un ritaglio di giornale con una sua foto sui social, per raccogliere una lunga serie di commenti. Unanimi, concordano la sua elevata statura politica: serio, competente, un uomo d’altri tempi, così il ricordo della gente comune.
Nato a Paternò nel settembre del 1932, Gioachino Milazzo studia per ottenere la maturità classica, poi si trasferisce a Palermo per continuare gli studi. Dopo i primi anni di università, trova le porte spalancate presso la segretaria politica dell’onorevole Barbaro Lo Giudice. Milazzo abbandona l’università per seguire da vicino Lo Giudice, l’onorevole ne apprezza le qualità e facilita l’assunzione negli uffici della Regione Sicilia. Un lavoro appassionante, che gli consente di prendere la giusta confidenza con le pastoie della burocrazia. Un tecnocrate, così molti lo definiscono rivolgendosi a lui per seguire più da vicino tutte le pratiche del Comune di Paternò. Lo preferisce anche l’onorevole Nino Lombardo, dopo la sua elezione all’assemblea Regionale. Nel 1961 sposa la palermitana Tanina (Gaetana), motivo per cui, anche dopo il trasferimento definitivo a Paternò nel 1972, settimanalmente faceva la spola tra Paternò e Palermo. Candidato nella lista dello Scudo Crociato la prima volta non supera il consenso popolare. Ricandidatosi la seconda volta, nel giugno del 1970 entra a far parte del consiglio comunale, motivo per cui decide di rientrare a Paternò con la moglie e i tre figli. Porta con se’ anche l’automobile, la “Lancia Trevi” riconoscibile da tutti, con targa Palermo. Entra in giunta nel luglio del 1975 con sindaco Sinatra, viene eletto sindaco la prima volta nel settembre del 1985. Tra i diversi incarichi amministrativi ci sono i tentativi di diventare senatore: nell’ultima occasione mette ogni risorsa di se stesso per spuntarla ma le alchimie della politica, gli equilibri e gli schieramenti e l’ultimo boom elettorale di Nino La Russa non consentono a Milazzo di coronare il sogno di una vita. Oggi sommessamente ci chiediamo: come sarebbe cambiata la vita della città e sua personale se fosse stato eletto? Purtroppo le correnti Dc se non lo tradirono non fecero abbastanza, per usare un eufemismo.
Nel primo anniversario della morte di Milazzo, nel salone della parrocchia della chiesa Spirito Santo, Nino Lombardo sottolinea come alcuni nuovi ingressi al Consiglio comunale, nel 1970, avrebbero innovato e inciso anche per il futuro, scrive nel suo libro; “in particolare Gioachino Milazzo è un protagonista e un personaggio saliente della DC e della storia politica e amministrativa della città. Lo arricchisce la sua preziosa esperienza di funzionario regionale e la collaborazione con altissimi funzionari e politici. Ha senso politico e una straordinaria capacità di lavoro e impegno. Sarà sempre in primo piano e votante nei passaggi decisivi di tutta la storia cittadina. A Palermo è stato e continuerà a essere per anni mio stretto collaboratore, a Paternò, col tempo – continua Lombardo – acquista consapevolezza delle sue potenzialità e qualità fino alla giusta e comprensibile autonomia e indipendenza, ma sempre con grande lealtà e rispetto reciproco, che durano e sfidano il tempo”.
Tutti i giorni era solito frequentare Piazza Indipendenza, anche prima di recarsi a lavoro gli uffici regionali della Condotta Agraria. Assiduo frequentatore dell’edicola Minutolo per la rassegna stampa, d’obbligo era la lettura dei giornali, come prima lettura “Il Giornale di Sicilia” a cui era molto affezionato, e poi il quotidiano locale “La Sicilia”. Dopo la chiusura dell’edicola, per la morte di Minutolo, lo si poteva incontrare dopo le 16.00 dal fioraio Nino Asero, quella divenne quasi la sua sede politica dove spesso incontrava la gente. Non amava, infatti, stare nelle stanze a porte chiuse. A volte prendeva carta e penna per scrivere interventi competenti e garbati per rendere migliore la citta’. Uomo elegante, anche se non indossava la giacca e preferiva tenerla poggiata sulle spalle. E’ bello poter ancora ricordarlo, quasi sentire la sua voce sempre pacata che dispensa buoni consigli sempre vicino alla gente. Un uomo di pace. Di prospettive lungimiranti, con una visione pragmatica e concreta dell’impegno e del ruolo del dirigente che lavora per la collettività senza secondo fini.
Mi sorpresi una volta, lo vidi contrariato e nervoso. Aveva avuto un diverbio con dei cialtroni che raggiravano e deridevano Carluccio Mammana. Senza esitare un attimo, buttò via la giacca, affrontò quei giovinastri portando al riparo Carluccio. Gioacchino Milazzo sapeva affrontare le situazioni difficili a viso aperto.
La città di Paternò negli anni 80 era considerato un vertice del famigerato triangolo della morte, in pochi anni si contavano a decina i morti ammazzati. “Paternò e dintorni 15 morti nel 1987” questo si leggeva sul quotidiano “La Sicilia”. Anni difficili segnati dal sangue e dal terrore, una guerra di mafia per il controllo del territorio. Di matrice dolosa, il fuoco che aveva semidistrutto l’ufficio di collocamento. Oltre la droga e il racket delle estorsioni, a Paternò la criminalità organizzata cominciava a mutare aspetto, piano piano voleva mettere le mani sulla cosa pubblica. Silenziosamente si infiltrava nella politica locale, specie tra le fila dei democristiani, Gioacchino Milazzo ne coglieva i segnali. All’indomani dell’uccisione della moglie del boss locale Giuseppe Alleruzzo, tra l’indifferenza della gente e ancor più grave, il silenzio della politica, Milazzo lanciava un drammatico appello. Il primo, al prefetto di Catania, chiedendo di potenziare le presenza delle forze dell’ordine. Poi un appello schietto al boss in carcere. “Alleruzzo, parla” così il titolo di un’intervista fiume sul giornale “La Sicilia” Milazzo asseriva “Se parla però, egli può permettere di colpire gregari ed eminenze grigie”. Alla domanda; da dove arrivano i comandi? “Io non ho conoscenze specifiche che mi consentano di pronunciarmi, ma ritengo che Paternò sia roccaforte da conquistare a tutti i costi”. Infatti i grandi appalti facevano gola alla criminalità, allora come anche adesso, per esempio la raccolta dell’immondizia, poi il collettore fognario, il decollo della zona “C”. E ciliegina sulla torta il controllo sull’ospedale. La Democrazia Cristiana era il partito di maggioranza relativa, Milazzo capogruppo della DC, era leader di un corposo gruppo di consiglieri, fu attento osservatore non esitava stoppare ogni cosa strana. Era ormai abitudine leggere sui giornali “La Dc spaccata è alla ricerca di una linea”. I supporter del sindaco contro quelli del capogruppo. Come un cinico gioco, il sindaco proponeva e Milazzo disfaceva.
Doverosa una citazione di Moro: “la maggioranza governa non perché ha ragione, ma ha ragione di governare perché è maggioranza”. Quando la maggioranza non aveva i numeri, perché lacerata, ricorreva ad aiuti esterni. Quante combinazioni, con i repubblicani, con il partito socialdemocratico i socialisti il Pci financo con l’appoggio esterno del Msi. Inutile riportare in questa occasione i nomi di quegli amministratori, alcuni perché in buona fede altri volutamente corrotti, hanno sbagliato e pagato il conto alla giustizia. Inutile fare nomi poiché c’è chi non è più tra i vivi. Va ricordato che il consigliere comunale ed ex sindaco Gioacchino Milazzo non si piegò a compromessi, fu l’unico ad aver subito minacce, a rischio di rimetterci la pelle. Durante i lavori del consiglio comunale, mentre Milazzo pronunciava una mozione di sfiducia alla giunta monocolore con appoggio esterno di altri gruppi, tra cui il Psdi, l’avvocato Pippo Torrisi col fiatone irruppe in aula durante i lavori, annunciando che la mitica “Lancia Trevi” stava prendendo fuoco. Era il primo avvertimento. Anche la sua casa per anni, ha conservato un macabro ricordo, una pallottola conficcata nel muro della cucina. Neanche questo è bastato per piegare Gioacchino Milazzo. A nulla valse una cena con il leader politico emergente. Cena a base di pesce con il sindaco Salvatore Sinatra e Gioacchino Milazzo, per tentare lì dove altri, persino il commissario Savoia non era riuscito, ricucire il gruppo della DC. Ma fu tutto inutile.
Tra il 1988 e il 1989 poco prima dello scioglimento del consiglio comunale, si consuma l’ultimo atto, quello più doloroso, la fine della Dc a Paternò. L’onorevole Nino Lombardo pur fuori dal consiglio comunale, rimase leader della Dc. Bisognava eleggere il presidente della Usl 31, Gioachino Milazzo era destinatario di quel sottogoverno ma Lombardo si contrappose proponendo la candidatura del nipote Salvo Torrisi. Elezione che avvenne in clima quasi libanese, con denunce di pressioni e interferenze strane, 26 ore di dibattito. Consiglieri infastiditi per strada, tanto da richiamare l’intervento delle forze dell’ordine, a vigilare sul corretto svolgimento dei lavori. Milazzo e il suo gruppo si dichiararono persino indipendenti ma ciò non sortì esito favorevole. L’onorevole Nino Lombardo usò ogni mezzo, per mettere fuori gioco Milazzo e ci riuscì. Di questa pagina dolorosa nessuno parla, ma Milazzo seppure sono passati dieci anni dalla sua scomparsa, da lassù può guardare fiero di essere stato un uomo, un politico corretto è libero.
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