Periferie pride: ripartiamo dal disegno urbano

Sulle risorse da destinare ai progetti di riqualificazione urbana nelle periferie – come prevedeva un bando ministeriale – si stanno scatenando polemiche, in ambito nazionale. Sono in tanti, tra associazioni di categoria ed enti locali, che protestano contro l’emendamento – contenuto nel Milleproroghe approvato dal Senato e voluto dall’attuale Governo – che sospende l’operatività delle risorse di almeno due anni. Appelli dall’ANCE, da Renzo Piano solo per citarne alcuni. Si parla persino di organizzare un Periferie Pride.

I Sindaci, i Presidenti delle Aree metropolitane e tutti i protagonisti della filiera sono sul piede di guerra. Oltre la questione occupazionale – si parla di alcuni miliardi che avrebbero dato ossigeno al settore edilizio, ormai in crisi da tempo – c’è anche la questione culturale. “Sembra che questo governo sia indifferente al tema della rigenerazione delle periferie e alla qualità dell’architettura.” Tema strategico e prioritario, per rilanciare non solo l’economia di questo Paese ma per ricucire lo strappo tra Nord e Sud, tra centro e periferia, tra aree sviluppate e sottosviluppate. Uno strappo che ha lacerato le nostre città, creando differenze, diseguaglianze e marginalità, sociale ed economica. Scampia, ZEN, Librino e tante altre realtà che aspettano risposte da anni. E con queste anche le piccole periferie, quelle ai margini di tutto, perché c’è anche la perifericità.

A leggere i commenti – autorevoli e motivati – in questi giorni, sembra tutto chiaro, non possiamo che condividere le preoccupazioni di tanti, ma vogliamo proporre una diversa chiave di lettura. Forse borderline, ma potrebbe essere un’opportunità per rilanciare, sia le attenzioni alla riqualificazione delle periferie che al progetto che deve governare tale processo. Fermo restando che privare questo Paese di queste risorse è un grave errore culturale, politico ed economico.

Un bando espletato prima delle elezioni politiche di marzo, non aiuta a vedere le cose tutte chiare e nemmeno le procedure di acquisizione dei progetti ci conforta. La sensazione è, che da una parte c’erano le raccomandazioni del Senatore Renzo Piano e dall’altra il “praticismo” degli Enti Locali. Invece di ridisegnare le periferie, con un piano organico e strategico, dove l’urbanistica trovava la sua giusta collocazione e dignità disciplinare; dove il progetto di sistema e l’architettura di qualità era funzionale ad avviare processi rigenerativi; invece di tutto questo, ci siamo trovati di fronte all’ennesima occasione mancata.

Dai cassetti degli Enti Locali e da altri “cassetti” sono usciti i progetti pronti o semi pronti, buoni per tutte le stagioni e per tutti i bandi. Ovviamente stiamo generalizzando ma il fenomeno – a leggere i commenti di questi giorni – è diffuso.

Qualche domanda in premessa. Cosa significa rigenerare e riqualificare una periferia? Con quali strumenti? Mi sembra che questo bando abbia invece celebrato la morte del progetto urbano e dell’urbanistica. La morte del disegno urbano attraverso il progetto di architettura. Che poi è quello che suggerisce Renzo Piano e il Consiglio Nazionale degli Architetti (quest’ultimi al recente convegno nazionale).

L’obiettivo era disegnare parti di città e collocare strade, illuminazioni, biblioteche, parchi, servizi ai cittadini ecc. – dentro quelle porzioni di periferia incompiute o degradate, per connetterle con il cuore pulsante della comunità. Anche fognature e piantumazioni di aree chiamate impropriamente parchi ma che in realtà erano aree abbandonate. Ma dove tutto questo? Nelle periferie, dentro i centri urbani e non dove capita prima.

Ma spesso succede altro. Nei programmi relativi alle aree interne – come la Valle del Simeto – si finanziano prevalentemente gli impianti fotovoltaici, sopra le scuole, dentro le aree urbane, invece che rendere più sicure le campagne. Magari era meglio un fondo specifico del MIUR. Oppure si finanziano (appunti nei programmi per le periferie) i centri sociali, gestiti da collettivi (organizzazioni culturali private), in aperta campagna, fuori dal perimetro urbano e in aree con destinazione urbanistica incongruente, senza connessione con la città. Paradossi da verificare e correggere.

E’ chiaro che invece di dare centralità al disegno urbano che definisce strategie e individua temi progettuali e quindi progetti da elaborare, allo scopo di avviare processi rigenerativi, si è pensato di collocare i progetti del cassetto (pubblico e privato) senza una vera e propria logica. Non per tutti, non sempre, ma da quello che leggiamo, più di quanto si possa immaginare.

Ma il disegno urbano presuppone visione, pianificazione, definizione di obiettivi, capacità progettuale. Allora ci sta che qualcuno pone la questione di revisionare il programma di rigenerazione urbana, per rimettere al centro la cultura del progetto. Ci sta che si voglia verificare la congruenza tra gli obiettivi del programma e i progetti proposti. Revisionare e non azzerare.

Bisogna “ridisegnare, attraverso il progetto urbano alla scala architettonica” (scusate il tecnicismo) le porzioni di città che hanno bisogno di interventi urgenti. Facciamolo, in considerazione di un quadro coerente e d’insieme. Diamo spazio all’urbanistica – chiamatela come volete, anche partecipata – alla qualità dell’architettura (non la chiamate partecipata, semmai condivisa). Ma non perdiamo le risorse.

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Rimbocchiamoci le maniche, puntiamo a dare alla gente, quello che gli serve e non i progetti di cui siamo titolari (nei nostri cassetti da anni). Non tutto è perduto, la periferia è un tema strategico e merita rispetto e onestà intellettuale. Quando in una città metropolitana, i progetti proposti afferiscono solo ad aree governate – esclusivamente – dai compagni di partito del suo presidente di turno, collocati senza nessun disegno organico e complesso, per sviluppare temi bizzarri, viene voglia di “revisionare”. Forse l’ANCE e Renzo Piano dovrebbero guardare, anche da questo punto di vista le cose, per essere “realisti” e non essere strumentalizzati.

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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