A differenza di altre organizzazioni criminali, Cosa nostra “non può rinunciare a dotarsi di un nuovo capo”. Ma la successione di Totò Riina presenta “aspetti problematici” ed e’ “a rischio di forti tensioni che potrebbero sfociare in atti di forza, con pericolose ripercussioni nell’immediato”. A lanciare l’allarme è l’ultima Relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia, secondo cui nel frattempo “l’organizzazione continuera’ verosimilmente ad essere caratterizzata da un ‘organismo collegiale provvisorio’, costituito dai capi dei mandamenti urbani più forti e rappresentativi, con funzioni di consultazione e raccordo strategico”. Improbabile, dicono gli analisti della Dia, che a succedere a Toto ‘u curtu sia il superlatitante trapanese Matteo Messina Denaro, “pur essendo egli l’esponente di maggior caratura tra quelli non detenuti, ed in grado di costituire un potenziale riferimento, anche in termini di consenso, a livello provinciale”. In primo luogo, “i boss dei sodalizi mafiosi palermitani, storicamente ai vertici dell’intera organizzazione, non accetterebbero di buon grado un capo proveniente da un’altra provincia”. E poi Messina Denaro “negli ultimi anni, si sarebbe disinteressato delle questioni piu’ generali attinenti Cosa nostra, per poter meglio gestire la latitanza e, semmai, gli interessi relativi al proprio mandamento ed alla correlata provincia” (lo stesso Riina, intercettato in carcere, se ne era lamentato). C’e’ da tenere conto anche di “un generale senso d’insofferenza verso la leadership corleonese, ormai provata e decimata, la cui maggioranza e’ costituita da boss detenuti in espiazione di pene definitive all’ergastolo e ristretti in regime speciale”. Né può escludersi che “giovani capi emergenti ed in via di affermazione sfruttino la situazione e cerchino spazi per imporsi, entrando in conflitto con anziani uomini d’onore”. Nel conto, sempre secondo la Dia, vanno messe pure “le contraddizioni di un’organizzazione chiamata, oggi, a misurarsi con i discendenti dei cosiddetti ‘scappati’, i perdenti sopravvissuti alla guerra di mafia vinta dai corleonesi: per avere salva la vita, furono costretti a trovare rifugio all’estero, in particolar modo in Nord America, ma ora molti di loro, da qualche tempo tornati a Palermo, potrebbero pensare di consumare le proprie vendette, riappropriandosi del potere mafioso”.