In questi giorni si parla di architettura e architetti. Workshop, seminari, conferenze e classifiche. L’inizio dell’estate è portatrice di riflessioni sull’Abitare il Paese, dalle città ai territori del futuro prossimo. Gli architetti italiani si sono riuniti a Roma in un grande congresso che ha evidenziato però alcune criticità.
Oggi Giuseppe Scannella – architetto (ex Presidente dell’Ordine di Catania) – ha espresso chiaramente, in una sua riflessione, le perplessità emerse al convegno: l’assenza della politica e delle [archistar]. Ne condivido i contenuti e le conclusioni. Per approfondire: https://www.facebook.com/architettoscannella/posts/1769265733195925
Che tradotto significa che se la politica non è interessata all’architettura, il Paese – tutto – non è interessato all’architettura e tanto meno all’urbanistica. Basta guardarsi intorno. Bisogna prendere atto che non siamo sul pezzo. L’assenza dei politici si riassume così ed è meglio prenderne atto. Inutile fare gli offesi.
Come architetto, desidero anche io offrire qualche spunto per una riflessione. Richard Sennett nel suo libro “Costruire e abitare, etica per la città” edito dalla Feltrinelli, ci aiuta a riflettere su un diverso modo di guardare le cose. A partire dall’utilità dell’architettura, dalla cooperazione invece che della partecipazione e dalla possibilità di creare città aperte e umili. Una buona lettura estiva post congresso per gli architetti e non solo. Nello stesso tempo viene pubblicata una classifica sulle migliori scuole di architettura italiane ed emerge – tra le prime – quella dell’Ateneo di Catania, con grande sorpresa. La sorpresa non dipende certamente dalla scuola e dall’attribuzione di merito, ma da una riflessione più approfondita sul contesto.
Nelle più importanti librerie – quelle che storicamente accoglievano un’ampia bibliografia tematica – stanno scomparendo i cataloghi specifici sull’architettura, dai saggi alle monografia, dai manuali alle riviste. Ormai gli scaffali dedicati all’architettura sono pochi ripiani con pubblicazioni dedicate ai grandi maestri del ‘900 e a Renzo Piano (quando va bene). Questo è un segnale importante. E non ditemi che è tutta colpa del web.
Le riviste sono interessate alle archistar e non al tessuto “minore” di architettura e architetti, che invece costituiscono l’ultima frontiera a difesa della bellezza di questo Paese. Invece di sostenere il patrimonio di qualità che – con fatica – disegna lo spazio urbano e rende vivo l’abitare, a cura di tanti architetti e progettisti, si enfatizza quello o quell’altro, che come dice lo stesso Giuseppe Scannella, per andare al convegno romano ha bisogno dell’invito e forse del tappeto rosso. In questo senso credo che le politiche nazionali e locali sulla valorizzazione dell’architettura devono rivedere le strategie e gli obiettivi. Non è solo una questione sindacale ma culturale. Questo è il punto.
A Catania il più ampio dibattito sull’architettura degli ultimi trent’anni si è consumano – nel giro di due settimane – sulla questione della fontana di Tondo Gioieni. Tutto qui e adesso tutto tace. Vorrei solo evidenziare che se metto a confronto la pista ciclabile di Marina di Ragusa a quella di Catania, mi viene voglia di gridare allo scandalo, eppure tutto tace. Le differenze sono le risorse economiche o la qualità del progetto? La committenza pubblica coglie queste differenza? Gli architetti sono ancora quelli che costano tanto e fanno spendere di più? Interroghiamoci anche su queste cose. Serve un’architettura veramente sostenibile e per tutti. La qualità non può ridursi all’uso dei materiali pregiati ma alla costruzione dello spazio – solidale, sicuro, sostenibile, social, spirituale (mi vengono in mente le lezioni su Franco Marescotti & C. di Zaira Dato).
Andando oltre. Non sono state risolte – per esempio – le criticità tra storicità e contemporaneità nel rapporto con i committenti e con gli enti di controllo, anche perché non ci siamo attrezzati con strumenti normativi più idonei. La città e il paesaggio pagano questa contraddizione a caro prezzo.
Non sono visibili – e potrei raccontare altro – gli effetti delle classifiche sulla qualità delle scuole di architettura, anzi al contrario i segnali sono in direzione opposta, basti pensare ai risultati degli esami di abilitazione alla professione di architetto e ingegnere, un capitolo a parte. Bisognerebbe riflettere sui parametri che definiscono tali classifiche e misurare le ricadute – sia sul piano occupazionale che della qualità della vita. In un Paese che diventa sempre più populista (nel senso positivo del termine) – ancora, una certa architettura si arrocca nelle sue torri d’avorio, fatte di eventi Glamour e di presenze nelle riviste specializzate. Questo è certamente utile per la disciplina ma rischia di isolare l’architetto e l’architettura in un recinto dorato. Andrebbe fatto anche altro.
In ogni luogo si consuma un festival dell’architettura e del design. Incontri tra architetti per raccontare la loro produzione. Forse bisognerebbe – e lo dico da tempo – raccontare tutto quello che gli studi hanno progettato e non realizzato. Sarebbe utile far vedere gli sforzi professionali e della ricerca, per raccontare a questo Paese, come poteva essere e come potrebbe essere. Ma raccontarlo al Paese evitando il fenomeno dell’autoerotismo culturale.
Quale è la vera incidenza dell’architettura (di qualità) nella vita di tutti i giorni? Mi vorrei interrogare su questa domanda. Io ripartirei da qui e desidero citare per questo, l’incipit di Giovanni Maria Flick al convegno di Roma degli architetti Italiani: art. 9 della Costituzione Italiana – “ La repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico artistico della Nazione”–
Caro Giuseppe Scanella,il populismo nella storia non ha mai avuto un “senso positivo del termine”. Anche la lezione di Terragni è “popolare”.L’isola Continente non potrà diventare bellissima senza l’Architettura nascosta nei cassetti.Con stima, Vito.