Caramel, storie di barbe e bigodini

C’è un posto – dove andiamo tutti – in cui si vive allegramente la “livella” di Totò. Non è la città dell’ultimo viaggio, anzi, ma il barbiere (per gli uomini) o la parrucchiera (per le donne). Un salone di bellezza – all’antica –  in cui uomini e donne, ritrovano la loro intimità di genere; il loro spazio segreto, dove tutto si può sentire o raccontare. Lo spazio del pettegolezzo, delle insinuazioni più piccanti, delle storie inenarrabili. Dove si può sapere di tutto. Il luogo dove l’aristocrazia, la borghesia e il proletariato convivono con pari dignità – senza differenze – insieme al clero e agli uomini in divisa. Per farla breve è il luogo più democratico della città. Calcio, politica, donne, corna, drammi e segreti sono condivisi (spesso amplificati) e discussi in un piccolo parlamento in cui il barbiere e la parrucchiera sono i moderatori da una parte e nello stesso tempo i custodi dei segreti di tutti.

Una delle immagini più poetiche è quella che ci offre il film “Caramel” – del 2007 – diretto dall’attrice libanese Nadine Labaki, al suo debutto nella regia cinematografica, oppure il divertente “Il barbiere di Rio” di Giovanni Veronesi, che vi consiglio entrambi di vedere. La prima volta – per ognuno di noi – la decide il papà o la mamma, qualche volta il nonno o la zia. La cosa divertente è che tutti – barbieri e parrucchieri – si chiamano per nome: Pippo, Umberto, Felice, Orazio, Tina, ecc. ecc. quasi come uno o una di famiglia. Un confidente, uno psicologo, un omeopata, un fiscalista. Consigli per tutti, autorevoli e competenti.

Normalmente il titolare si colloca vicino la porta d’ingresso e non solo controlla chi entra e chi esce ma guarda e registra tutto quello che avviene nella piazza, nella via. Registra gli incontri, gli sguardi, gli appuntamenti e chissà cos’altro.

Per molto tempo – quando ero piccolo – ho persino pensato che fossero agenti segreti sotto copertura e mi divertivo a osservare il mio barbiere, Pippo. Osservavo quando abbassava la voce e si avvicinava all’orecchio del notaio che gli confidava chissà quali segreti. Poi improvvisamente – come per non farsi scoprire – cominciava a parlare della sua Juventus, perché a sentire lui era il presidente, l’allenatore e il capitano (il tifoso perfetto). A questo punto, tutti a dire la loro. E non vi dico se c’era un interista o un milanista, cosa poteva succedere. Il notaio alla fine emetteva la sentenza. Era rigore. Qualche contrarietà e poi di nuovo a sussurrare segreti a Pippo, il barbiere di San Giovanni.

Le donne – in quei saloni di bellezza che sembrano salotti – si scoprono delle loro sovrastrutture ed esplorano ogni campo dell’umano sapere – in relazione alle altre donne. Desideri, intrighi, intimità, frasi dette e non dette. Vestiti, acconciature, gioielli, arredi e ville. Anche quelle – apparentemente indifferenti – sono con l’orecchio teso e vigile verso “la notizia” inaspettata, il gossip che travolge l’ordinaria percezione della bella società. Di lui, di lei (degli altri) si parla, si cerca un dettaglio e bastano pochi sguardi, un sussurro e un occhiolino e il gioco è fatto. Poi nel silenzio delle relazioni segrete – tra la parrucchiera e la bella signora – si scatenano le confidenze più segrete e qui lascio galoppare la vostra fantasia. Poveri uomini! Indifesi prigionieri, dentro un quadro di Henri de Toulouse-Lautrec

Una volta i barbieri erano anche luoghi dove ci si poteva fare la doccia, estrarre un dente, trovare il conforto dell’ascolto e poi trovare lavoro, moglie e persino la casa. Erano luoghi dell’incontro, dello scambio e dell’informazione. Si leggeva, si parlava e si apprendeva. Oggi ci sono i social. Non serve Pippo. Tutto questo fino all’adolescenza, dopo ogni uomo o donna decideva il suo barbiere o la sua parrucchiera. La conferma oppure il cambiamento.

Nei saloni si ascoltavano storie, racconti, segreti, confidenze. Oggi le chiamano “fake” e non sappiamo mai da chi sono state dette, un tempo era la moglie del macellaio, la sorella del sindaco, la perpetua del parroco o il fruttivendolo. L’impiegato del comune che di norma sapeva sempre tutto. Insomma le notizie avevano nome e cognome. Il profumo dei saloni maschili era sempre quello – intenso e speziato; e per le donne prevaleva l’odore della lacca e quei caschi da astronauta che magicamente acconciavano le loro capigliature. Per le donne la parrucchiera era un’amica a cui si poteva raccontare tutto. E che spettacolo all’uscita, con le acconciature più alla moda e le tinture più provocanti. Una festa per gli occhi e la domanda di tutti: sei stata dal parrucchiere?

Ma dentro i barbieri si tramavano anche delitti, tragedie e complicanze; tutti ricorderanno il barbiere cinematografico di Jonny Stecchino: la mafia, il traffico e la mamma!

Ora ci sono i consulenti di immagine. La doccia si fa a casa. Le confidenze su Facebook e non ci si parla più. Qualche volte si urlava, si litigava ma era il parlamento del salone di bellezza e si tornava a casa sapendo cose nuove. Si andava anche per non fare nulla. Solo per parlare. Dopo il lavoro dei campi o della muratura. Le donne tra una faccenda e l’altra o come scusa per incontrare qualcuno, in segreto. Un altro mondo. Oggi basta un sms. Poi la “ciarla” sotto il casco con i bigodini in testa che rendevano buffe le nostre mamme e sorelle, amanti e mogli, zie e nonne. La nostra famiglia allargata di un tempo.

Io preferisco chiamarli ancora – barbiere e parrucchiera –  Pippo e Tina, Umberto e Sergio, Felice e Orazio. Considerarli un pò come di famiglia. Storie di barbe e bigodini, storie di uomini e donne. Storie di segreti inenarrabili e in questo paesaggio così intimo dell’uomo, mi piace ricordare il barbiere di Randazzo, uomo di più di novant’anni che ancora oggi fa la barba ai suoi clienti con la stessa passione di sempre. Un monumento a questo mestiere. Andate a trovarlo, troverete la sua bicicletta sulla porta d’ingresso e l’arredo del suo salone ancora vintage (originale) e tutto tornerà come prima.

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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