Abitare le rovine 2.0, rigenerare San Berillo

Ripropongo una riflessione di qualche anno fa, perché oggi più che mai è necessario presentare pratiche ed esperienze di rigenerazione, alle nuove amministrazioni o a quelle che intendono avviare processi turistici virtuosi a partire dalle pre-condizioni. Recentemente si è svolto un convegno a Paternò sul Turismo ed è emersa la necessità di educare i cittadini alla consapevolezza – in relazione al patrimonio di bellezza che governano, di potenziare la mobilità pubblica per ottenere l’accessibilità di tutti e la creazione di corridoi di bellezza e sicurezza all’interno del paesaggio urbano e rurale- spesso degradato. In questo senso, le riflessioni per San Berillo sono utili per immaginare nuove pratiche.

 “ tutte le città, anche le più infelici, hanno un angolo felice e a quel luogo bisogna aggrapparsi … la città è piena d’infelicità e d’ingiustizia, ma è anche ricca di momenti straordinari”. (Italo Calvino)

Passeggiare, tra le vie di San Berillo a Catania (e spesso non solo), significa vivere intensamente questo pensiero, raccolto tra le pieghe di “Le città invisibili di Italo Calvino. Significa vivere sospesi, tra la malinconica consapevolezza di una città, che perde ogni giorno una parte di se e il desiderio di ritrovare – tra le pietre ormai decadenti – quell’umanità che può essere il motore rigenerativo dello spazio urbano.

L’effetto più devastante di questo processo – ciclico e inarrestabile – produce degrado e marginalizzazione, e ulteriori rovine, relitti e residualità che vanno ad ampliare le aree di pertinenza della criminalità, del malessere sociale e dell’infelicità. La letteratura consolidata – scientifica e normativa – ha offerto al “buon governo” diverse opportunità. Convegni, studi, mostre, ricerche, che hanno costruito un palinsesto utile per indagare sulle modalità della rigenerazione.

In questa terra di mezzo, in cui il tempo sembra dilatato, tra le pieghe del dibattito (dentro e fuori la città), in attesa di risolutive soluzioni normative, finanziarie, sociologiche e tecnologiche, San Berillo – e con lui qualsiasi porzione di città con le stesse caratteristiche – crolla ogni giorno sempre di più e sempre di più viene recluso e trasformato in ghetto o in un nuovo “non luogo” o spazio dell’eterotopia.

È proprio lo scarto temporale tra la consapevolezza di voler rigenerare e la sua attuazione, il tema di questa riflessione.

In questa sede, si voglio mettere in evidenza tre ricerche e in particolare: Architettura Proibita nel 2102 del MUSEO REBA (Renato Basile), Abitare le Rovine del 2014 dell’Ordine degli Architetti di Catania e Inhabiting Unfinished Architecture del 2015 dalla facoltà di Architettura di Losanna. Quest’ultima ha indagato proprio il rapporto tra il rudere e le opere provvisionali intese come dispositivi effimere di arte e design.

Il lavoro svolto ha definito nel suo complesso tre strategie possibili che afferiscono all’esigenza di rigenerare quella parte di città, che è cerniera tra la modernità prefigurata da Mario Cucinella nel masterplan di corso dei martiri e la città storica. In questo senso, le strategie individuate sono afferenti all’esigenza di: sicurezza, incubazione e trasformazione che si rendono necessarie per avviare metabolismi urbani condivisi, partecipati e sostenibili.

Sicurezza, significa abitare San Berillo adesso. Significa predisporre a basso costo tutti quei dispositivi per il puntellamento provvisorio che invece di creare occlusioni e recinti – a partire dalla land art, dal design urbano – possano generare istallazioni effimere di arte urbana. (e Farm Cultural Park è un esempio)

Incubazione, significa sostenere tutte quelle azioni, sociali, culturali e finanziarie che realizzino un atlante di usi e relazioni compatibili a San Berillo a partire dal lavoro svolto dalle associazioni, dalle agenzie culturali e religiose e dalle stesse ricerche svolte fino ad oggi, promuovendone altre.

 Trasformazione, significa creare – a partire dagli spazi collettivi – corridoi di qualità dello spazio urbano attraverso investimenti minimi sull’illuminazione, sui cablaggi, sulla mobilità, sulla connettività ecc. per creare le condizioni minime all’investimento privato che viene incoraggiato dall’esistenza di un presidio pubblico (polizia, assistenti sociali, biblioteche, farm-lab ecc.).

È necessario, che dopo l’ennesimo crollo di un qualunque palazzo, si proceda all’ennesima pantomima in cui proprietari, amministratori pubblici, intellettuali e opinione pubblica si perdono nel dramma dell’emergenza. Questo paradigma, pensato per San Berillo a Catania, può funzionare anche per altre realtà, per altri spazi urbani. La città storica, rischia di perdersi tra bizantinismi e depressioni urbane, in attesa di un sisma che sancisca la sua morte.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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