Corruzione, il “sistema Montante”: centrale occulta di potere

Secondo le indagini svolte dalla Procura di Caltanissetta, Antonio Calogero Montante avrebbe costruito una “rete di complicità” che negli anni è diventata “una vera e propria centrale occulta di potere” che gli ha consentito di occupare progressivamente rilevanti posti di potere, fino ad arrivare a scalare i vertici di Confindustria, dove ha rivestito cariche via più importanti, prima in sede locale, poi come presidente di Confindustria Sicilia, delegato in ambito nazionale alla legalità ed, oggi, presidente di RetImpresa Servizi srl. Oltre a Montante la Procura di Caltanissetta ha disposto in totale 6 arresti domiciliari: della “centrale occulta di potere”, tutti arrestati, facevano parte il colonnello dei carabinieri Giuseppe D’Agata (ex comandante provinciale di Caltanissetta e della Dia di Palermo, poi ai servizi segreti); il sostituto commissario della polizia Marco De Angelis (prima alla questura di Palermo poi alla prefettura di Milano); il security manager di Confindustria, ex poliziotto, Diego Di Simone Perricone; il maggiore della Guardia di Finanza Ettore Orfanello (già comandante della Tributaria di Caltanissetta); l’imprenditore Massimo Michele Romano. Misura interdittiva di 1 anno della sospensione dall’esercizio dell’ufficio pubblico invece per vice sovrintendente della Polizia Salvatore Graceffa. Sono tutti accusati di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti contro la pubblica amministrazione (corruzione e rivelazione di segreto d’ufficio) di accesso abusivo ad un sistema informatico. Per preservare l’immagine faticosamente costruita di “uomo della legalità”, giocando in sostanza d’anticipo, Montante aveva ispirato la sua azione ad una “continua, spregiudicata attività di dossieraggio”: un “sistema Montante” che funzionava raccogliendo abusivamente informazioni riservate sui suoi nemici, anche solo potenziali, per impedire che antichi legami intessuti con i boss mafiosi potessero in qualche modo “tornare a galla” oppure per screditare persone comunque a lui invise o in grado di contrastare i suoi interessi. Per gli inquirenti sono state le dichiarazioni di due imprenditori un tempo a lui vicini (l’ex assessore regionale Marco Venturi e l’ex presidente dell’Irsap Alfonso Cicero) a svelare come la rete di relazioni che Montante era riuscito ad instaurare, “sbandierando il vessillo della legalità, di cui si era fatto propugnatore e paladino”, serviva in realtà a nascondere i rapporti che egli aveva in passato intessuto e coltivato con esponenti di spicco della criminalità organizzata.
IL PENTITO DI FRANCESCO: “VICINANZA” A COSA NOSTRA
L’indagine è infatti partita dopo le dichiarazioni del 2014 dal collaboratore di giustizia Dario Di Francesco, già reggente della famiglia mafiosa di Serradifalco, il quale ha fornito specifiche indicazioni sulla “vicinanza” di Montante a Cosa Nostra nissena, in particolare ai boss Paolo e Vincenzo Arnone (“uomini d’onore” al vertice della famiglia di Serradifalco e testimoni di nozze di Montante), personaggi di cui Di Francesco era stato a lungo stretto collaboratore, succedendo poi proprio a Vincenzo Arnone nella reggenza della famiglia mafiosa. Le risultanze investigative, che si sono arricchite nel tempo con il contributo di altri due collaboratori di giustizia, pur confermando il dato relativo ai diretti rapporti in passato intrattenuti con vertici di Cosa Nostra, non sono risultate sufficienti per affermare, in modo processualmente spendibile, la configurabilità del reato di concorso esterno in associazione mafiosa ipotizzato a carico di Montante. Secondo la Procura la “occupazione spasmodica” di Montante era precostituire documentazione da spendere in futuro per neutralizzare possibili future accuse, puntualmente accreditando la tesi del complotto ai suoi danni in ragione del suo impegno sul fronte antimafia e manipolando surrettiziamente la realtà dei fatti. Un’affermazione che risulterebbe comprovata dalla documentazione, meticolosamente archiviata e catalogata, trovata dalla polizia giudiziaria nel corso della perquisizione svolta nel gennaio 2016 a casa di Montante in Contrada Altarello a Serradifalco. In un pc in una stanza “segreta” al seminterrato dell’abitazione (l’accesso alla quale era nascosto da una finta parete a libreria, dietro la quale c’era una porta blindata), gli agenti della Squadra Mobile di Caltanissetta trovarono in particolare un file Excel (generato automaticamente a seguito di uno “stallo” del programma e rinvenuto nel “cestino” di Windows) che metteva in risalto una “certosina annotazione” di incontri, appuntamenti, telefonate e messaggi di testo (inviati e ricevuti) da personaggi appartenenti ad ogni contesto (prevalentemente istituzionale), la registrazione di conversazioni intrattenute con terzi (effettuate personalmente o tramite persone di fiducia), la capillare conservazione di documentazione della più svariata natura, compresa quella attestante vari “favori” chiesti a Montante (che egli aveva in parte esaudito) nel corso del tempo.
LA STRATEGIA DI MONTANTE: SCREDITARE CHI LO ACCUSAVA
La strategia di Montante sarebbe quindi stata quella di screditare sistematicamente in via preventiva tutti quelli che nel tempo si erano posti in maniera critica nei suoi confronti, tacciandoli di “mafiosità” o di non meglio precisate collusioni con un sistema di potere che si voleva ormai dissolto e definitivamente superato, in particolare caratterizzato da collusioni tra imprenditori, politici ed esponenti mafiosi. Montante avrebbe infatti “con ogni mezzo” tentato di indurre al silenzio chi era in grado di riferire circostanze compromettenti sul suo conto, in particolare sui rapporti intrattenuti in passato con esponenti mafiosi della provincia di Caltanissetta: il segreto era screditarne surrettiziamente l’attendibilità, così da annullare il valore del contributo offerto per l’accertamento della verità. Sono stati ripetuti i tentativi di depistare le indagini, ispirati da varie fughe di notizie riconducibili a contesti istituzionali “prezzolati” collegati a Montante. Una volta arrivato ai vertici di Confindustria, grazie ai ripetuti “favori” elargiti con magnanimità in ragione del potere acquisito, in particolare sotto forma di assunzioni di parenti ed amici, Montante si è dimostrato in grado di “condizionare pesantemente” l’attività di vari uffici pubblici, in particolare di vari appartenenti ad organismi di polizia. In particolare per gli inquirenti avrebbe fatto un “sistematico ricorso” all’operato di infedeli appartenenti alla polizia per carpire abusivamente, attraverso accessi alle banche dati delle forze di polizia, notizie sensibili sulla vita privata di una serie impressionante di soggetti a lui invisi; tramite la personale rete di informatori corrotti – pronti a trasmettergli le informazioni “sensibili” contenute nella banca dati della polizia penitenziaria – Montante si è guadagnato il monitoraggio preventivo dei collaboratori di giustizia che avevano riferito circostanze a lui pregiudizievoli, il tutto addirittura prima che le relative dichiarazioni fossero oggetto di discovery; corrompendo alcuni autorevoli appartenenti alla Guardia di Finanza, ha indirizzato le indagini perchè fossero funzionali ai suoi interessi (un rigore garantito a “corrente alternata”, a seconda che le indagini si indirizzassero nei suoi confronti ovvero contro i suoi nemici). Una “filosofia” che ispirò ad esempio molte delle verifiche fiscali svolte in passato dall’ufficiale della Guardia di Finanza Orfanello – tra gli arrestati – nei riguardi di Montante, degli imprenditori compresi nel suo entourage oltre che nei confronti di quelli con lui in aperto contrasto. 
 
 

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