Teatro, “Il Gallo” al Brancati: il Bell’Antonio visto dal padre

Era solo il dopoguerra eppure sembrano passati dei secoli da quel periodo in cui Vitaliano Brancati costituiva l’incubo e il bersaglio preferito della censura, come se il fascismo non fosse caduto. Anche per questo, il suo teatro s’impose postumo. Nel 1955 pubblica Il bell’Antonio, considerato il più grande capolavoro della narrativa brancatiana, sia per la sua storia raccontata che viola il tabù dell’impotenza maschile, che per lo stile della sua prosa. Il protagonista di questo libro è il giovane Antonio Magnano molto amato e anche in un certo senso invidiato dagli amici a Roma, non per la sua intelligenza o astuzia, ma per la sua bellezza fisica, di una specie veramente straordinaria. La sua sola presenza suscita nelle donne un desiderio immediato e incontrollabile cosicché gode una fama di irresistibile dongiovanni e viene ritenuto un grande amante. Dalle serve alle ragazze della porta accanto, dalle prostitute alle signore, tutte si innamorano subito di lui, solo vedendolo. Addirittura le suore stanno con il loro naso incollato alle finestre e non possono smettere di guardarlo. Il punto di svolta sarà la scoperta della sua impotenza, condizione a cui viene inizialmente solo fatta allusione ma che poi viene definitivamente portata alla luce quando si scopre che il matrimonio tra Antonio e Barbara è rimasto  non consumato per più di tre anni. Tratto da Il Bell’Antonio di Vitaliano Brancati, Il Gallo, nella riduzione di Tullio Kezich, racconta la vicenda brancatiana vista però da una prospettiva diversa, ossia dal punto di vista del padre, il Gallo appunto.  Il gallismo, antico tema di Brancati, incarna quella mentalità che vede nella virilità un valore assoluto e che, in realtà, nasconde sotto il fanatismo sessuale un vuoto profondo, morale e sociale. Ambientato nella Catania tra il 1938 e il 1942, in pieno regime fascista, l’azione drammaturgica si snoda cavalcando la scissione tra appartenenza e realtà.  Nella storia di Antonio, sopravvalutato dal padre con l’assenso di tutti, si intravede il momento storico relativo in cui il culto del regime e della sua autoincensazione nascondeva una realtà ben diversa.  In questo contesto la parola è protagonista ed è, attraverso il suo arzigogolare nei monologhi vittoriosi del Gallo, la vera artefice della costruzione della presunta realtà che, disgregandosi di fronte all’evidenza dei fatti in ragionamenti sempre più esasperati e surreali, rivela un vero dramma sociale dove i meccanismi d’interesse alla fine prevalgono scuotendo la Chiesa e le forze economiche.

Riguardo l'autore Corriere Etneo

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