Sette persone agli arresti domiciliari e complessivamente quaranta indagati per l’emissione e l’utilizzo di fatture false per oltre 40 milioni di euro; sequestrati beni per oltre 3 milioni di euro su conti correnti, immobili, denaro, auto e quote societarie di quattro imprese e altrettanti indagati. Sono questi i numeri dell’operazione ‘Olympus’, condotta dalla Guardia di finanza di Livorno nell’ambito di un’inchiesta della Procura livornese su presunte frodi fiscali nel settore del trasporto internazionale di merci. Per 8 indagati, tra i quali i sette finiti agli arresti domiciliari, tutti imprenditori livornesi, è stata contestata anche l’associazione a delinquere. Le indagini hanno consentito di individuare tre presunte imprese ‘cartiere’, senza un’effettiva capacità patrimoniale, intestate a prestanome che emettevano fatture relative a operazioni in tutto o in parte inesistenti a favore delle imprese beneficiarie, che operavano nel settore del trasporto internazionale di merci per conto terzi, consentendo a queste una illecita detrazione dell’Iva e una parziale, anche questa indebita, deduzione di costi. Nel corso delle indagini sono state effettuate 20 perquisizioni non solo a Livorno, ma anche a Cecina, Piombino, Udine, Milano e Marsala nel corso delle quali sono state individuate due società livornesi beneficiarie della frode, con un giro di falsi documenti contabili per oltre 40 milioni di euro. A capo dell’organizzazione, secondo gli inquirenti, ci sarebbe un imprenditore livornese, amministratore di fatto delle società beneficiarie delle false fatturazioni.
IMPRESE “CARTIERE” E PADRONCINI IN SICILIA
Sempre secondo quanto emerso dalle indagini, il sistema per frodare l’Iva era attuato attraverso una triangolazione per cui le società beneficiarie commissionavano a piccoli imprenditori – ‘padroncini’ con sede in varie regioni tra cui Toscana, Calabria, Sicilia e Sardegna – l’esecuzione per loro conto di trasporti internazionali, non imponibili Iva, di prodotti destinati a Paesi esteri e consegnati per l’imbarco nei porti di Livorno e Civitavecchia, dando disposizioni affinché le relative fatture venissero emesse a favore di tre imprese ‘cartiere’ appositamente costituite per ‘filtrare’ queste transazioni commerciali. Ricevute le fatture dai padroncini, le tre società emettevano, a loro volta, per le stesse operazioni, nuove fatture a favore delle ditte beneficiarie della frode, indicando un imponibile gonfiato e l’addebito di Iva. L’imposta così indicata veniva quindi detratta dalle società beneficiarie della frode ma non veniva versata all’Erario. Il meccanismo – secondo gli inquirenti – garantiva alle ditte dell’imprenditore livornese un elevato profitto rappresentato da un fittizio credito Iva, che veniva usato per compensare i debiti tributari, oltre che la deduzione di costi gonfiati. Per il momento l’ammontare della frode è stato quantificato in oltre 3 milioni.
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