Un errore cela spesso un desiderio represso, un “vorrei ma non posso” che fa classificare lo svarione come un lapsus freudiano ( da anni attendo invano di sapere come venivano chiamati, ai tempi di Freud, gli scivoloni verbali ). Ho sempre pensato che tutti quelli che continuano a chiamare Bi-Gins il gruppo musicale dei Bee-Gees ( ricordate il “febbrile” terzetto dei fratelli Gibb ? ) in realtà abbiano sempre sognato una fusione con i Beans, lo storico gruppo musicale catanese. Un supergruppo che miscelasse in un unico corpo gli adorabili falsetti degli autori di “How deep is your love” con le altrettanto imperdibili voci dei fratelli Franco e Carmelo Morgia e Toni Ranno. Ci sarà, per esempio, una ragione se migliaia di persone si ostinano a “femminilizzare” l’euro, che di suo è maschile. “Con lo sconto, questa giacca le viene sulle 300 euro” mi ha ripetuto decisa, dopo l’inizio dei saldi, una negoziante con tutti i punti e le virgole a posto. Immagino che questo rigetto verbale verso l’euro al maschile dipenda dagli effetti urticanti che esso ha avuto nelle tasche di milioni di italiani. In pratica, identifichiamo l’euro come un uccello padulo che gira e rigira viene a ficcarsi in quel posto ( pochi centimetri sotto la giacca, quella che non ho comprato, nonostante lo sconto ). Femminilizzando il nome, più che addolcirlo vogliamo esorcizzarlo. Ma soprattutto vogliamo dirottare in questo modo la sua traiettoria.