H20: l’impronta dell’acqua (nella terra di mezzo)

H20
Qualche volta dobbiamo cambiare prospettiva, per capire meglio ciò che circonda il nostro mondo.
Il capo della Nestlé (quello che gestisce gran parte della produzione alimentare nel mondo) ha dichiarato (speriamo di aver capito male) che l’acqua non può essere un bene garantito per tutti; che bisogna privatizzare la sua gestione e magari si propone (la sua Nestlé) anche come governatore unico mondiale.
Se poi osserviamo “quanto incide l’acqua utilizzata nei processi agricoli e industriali sulle riserve di una Terra già assetata” la prospettiva cambia di molto e lo studio, condotto da Arjen HoekstraMesfin Mekonnen, ricercatori dell’Università di Twente (Paesi Bassi) ci dice che “l’acqua utilizzata per la produzione di beni di consumo rappresenta una voce importante del bilancio dei consumi idrici mondiali. Uno spreco silenzioso, che spesso non si vede, ma c’è. Snocciolando numeri e dati restiamo a bocca aperta”.
 
La questione è mondiale, ma anche locale. A questo punto qualche domanda è necessaria. Chi sono i proprietari dell’oro blu nel nostro territorio? Chi controlla la qualità delle falde acquifere? Chi controlla la qualità dell’acqua distribuita?Quanta acqua sprechiamo dalle sorgenti fino al nostro rubinetto? Perché compriamo solo acqua minerale e non beviamo quella del rubinetto? Quanto costa veramente l’acqua? Chi protegge i pozzi e le condutture da eventuali attacchi terroristici? Quale è la nostra impronta idrica? (un indicatore che misura l’impatto ambientale sulle risorse idrogeologiche che il nostro stile di vita comporta).
 
Lo so, tante domande, ma forse è venuto il momento di cominciare a farle seriamente a chi governa l’acqua.
Salvo Caruso (geologoci dice che lo spreco dalla sorgente al rubinetto, nel nostro territorio è enorme. In pratica paghiamo 100 litri e ne usiamo 40/50. Un buco nel bilancio pubblico e familiare.
Le nostre tubazioni sono bucate, corrose e nemmeno sappiamo dove sono veramente (mai vista una mappa della rete idrica della città, nemmeno quella fognaria per non farci mancare nulla). Eppure la tecnologia per mappare, monitorare e riparare/sostituire, è cosa di tutti i giorni. Penso che sia una priorità avviare progetti in tal senso e non si può sostituire solo una parte della rete, senza conoscere tutta la rete e le sue criticità, sarebbe uno spreco ulteriore – dice sempre Salvo Caruso che ci racconta come molti comuni vanno in tilt dopo interventi simili.
 
Sentiamo parlare tra l’altro, di crisi idrica regionale; di Palermo senz’acqua; del Presidente della Regione Sicilia, Musumeci con poteri straordinari per l’emergenza idrica; di razionamento; di agricoltura in ginocchio; di dighe da riparare e da realizzare; di siccità; di diminuzione delle precipitazioni di pioggia; dell’Etna senza neve; di desertificazione; di abbandono delle campagne; delle piogge acide e dell’inquinamento; degli incendi; di cambiamenti climatici; e della mobilità gommata che produce smog. Potrei continuare per ore. Sembra un bollettino di guerra. Le cause? L’uomo e la sua cecità. Il senso di potere che crede di poter esercitare sulla natura. Poi la sua difficoltà a pianificare le azioni di rigenerazione delle risorse naturali.
 
Poi capita di andare lungo il fiume Simeto (pare che da solo, contenga 1/5 delle risorse idriche della Sicilia) con gli amici della pesca sportiva. Lo stesso fiume, che giustamente, è da qualcuno esaltato come elemento identitario della comunità e dall’altro è invece lasciato solo a se stesso nel rapporto tra le città –con i loro scarichi urbani – e le sue acque.
Capita dunque, di assistere ad una gara di pesca e morire dalla puzza di putrido oltre che a vedere pesci viscidi e mostruosi. Alla domanda se quei pesci si possono mangiare, la risposta è: moriresti di qualche malattia con tutto quello che scaricano nel fiume. Forse qualcuno dovrebbe verificare le condizioni dei depuratori.
 
Riepilogando, attingiamo acqua da pozzi privati (non sempre). Sprechiamo l’acqua comprata, disperdendola nelle tubature e non sappiamo nemmeno dove sono le tubature. La usiamo solo per lavarci, perché per bere compriamo quella del supermercato (pesando sul bilancio delle famiglie). Poi scarichiamo nel fiume di tutto e disperdendo acque grigie e nere (senza recuperare nulla per l’agricoltura e l’industria).
Ma non basta, facciamo una passeggiata lungo le sponde del fiume e troviamo le sorprese. Discariche abusive, canneti abbandonati, odori nauseabondi, strade dissestate, copertoni bruciati, carcasse di animali, scarti edilizi, amianto e tanto altro. Sono luoghi relitto, sono la polvere sotto il tappetto, sono la parte meno nobile della nostra valle del Simeto, quella dimenticata, quella che imporrebbe un’azione forte sia sul piano politico che culturale.
 
Torniamo all’acqua. Da dove sgorga a dove viene versata. C’è tanto da fare, sul piano delle mappature, della pianificazione e delle infrastrutturazioni. Subito. Ma c’è anche da invertire la tendenza al cambiamento climatico, con azioni strutturali. Incentivare l’uso pedonale e ciclabile delle città; incentivare l’uso di mezzi pubblici di trasporto; incentivare i sistemi passivi, per la realizzazione di architetture e per il loro recupero; trattare i reflui alla fonte e promuovere l’uso di vasche di raccolta delle acque grigie nelle singole case e nei condomini. Lungo la via dei mulini – ad ovest di Paternò – si assiste a una dispersione incredibile, lungo le strade dove l’acqua si perde ovunque e nessuno mette mano alla sua regimentazione.
 
Bisogna avviare una nuova politica dell’acqua, che la consideri come risorsa primaria e pubblica e credo che, persino l’immigrazione dall’Africa, sia riconducibile alla mancanza di acqua in questi paesi.
 
Quindi, dobbiamo fare i conti con l’acqua, oggi e per il futuro. Impedire la desertificazione con azioni etiche.
Per questo è necessario prima di tutto piantare alberi. Alberi, alberi, alberi.
Promuovere la creazione di boschi urbani, incentivare la trasformazione del suolo verso la sua permeabilità e come l’uomo che piantava gli alberi, nel romanzo di Jean Giono, essere consapevoli che la nostra azione, può cambiare il mondo, anche il microcosmo che ci circonda.
Serve una legge regionale ad hoc che incentivi questa rivoluzione, per lasciare un’impronta in questa terra, perché l’acqua è il principio della vita, e mancando, potrebbe annunciare la fine o un mondo molto diverso da come lo conosciamo noi. Non è un caso che il FAI (Fondo Ambiente Italiano) – che si è sempre occupato di monumenti e bellezze naturali – ha dedicato una sezione speciale all’acqua a partire da quest’anno.

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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