A volte il passato torna e ha le fattezze del Male che non avevi riconosciuto nella tua vita precedente. Un nuovo incontro, del tutto fortuito, con un individuo spregevole cui un “personale Gesù” aveva salvato la vita, è la scintilla del romanzo “Enjoy Sarajevo” scritto dal giornalista catanese Michele Gambino (Fandango Libri, 238 pp. € 18,00).
Gambino è uno dei “ragazzi di Pippo Fava”, cronista di quella indimenticata stagione di coraggio che è stata l’esperienza del mensile “I Siciliani”. Cosa siano stati quegli anni e la fine atroce per mano mafiosa di Fava restano segno indelebile sulle carni di ciascun siciliano degno di amare la sua terra.
Il protagonista e voce narrante del romanzo porta il suo stesso nome, Michele, Banti di cognome. In un presente denso di rodimento interiore per la vita professionale che è stato costretto a intraprendere, Banti è autore televisivo di una trasmissione pomeridiana sospesa tra il gossip e la cronaca, ripiomba dal passato Amos Profeti, ex autista e guida nell’inferno di Sarajevo quando Banti era stato inviato di guerra.
“Ne avevo conosciuto di gente strana, o cattiva, nei miei viaggi. Lui però era diverso”.
Nei due spazi temporali, presente e passato, si dipana la trama del romanzo. L’oggi non è gioia per ciò che si fa, ma nemmeno il passato, rivisitato al pettine fino del rigore morale, riesce a concedere un po’ di tregua al protagonista.
Sembra di sentire l’eco del monologo del colonnello Kurtz-Marlon Brando in Apocalipse Now quando nel quartiere di Nedzarici, da una postazione privilegiata, Michele Banti assiste ad un bombardamento: “Il fatto è che la mia attesa di nuove granate somigliava pericolosamente a un appena soffocato desiderio” ammette, confessando in cuor suo un pensiero malato.
Profeti, invece, non ha pudore nel dire ciò che prova: “Questa è la musica che mi piace di più”.
La scrittura di “Enjoy Sarajevo” è meticolosa e alimenta il fuoco professionale che arde dentro il protagonista. La storia che racconta è un appassionato reportage dal fronte della propria esistenza.
Prima che il disvelamento si compia, la fattuale presa di coscienza della vera personalità di Profeti, Banti trova quiete solo quando riesce a trascorrere qualche giorno accanto alla propria figlia. Un’altra bambina morderà per sempre la sua coscienza per ciò che non è riuscito a evitare. Nel desolante teatro della guerra in Bosnia vista troppo da vicino, Banti assegna un ruolo eroico alle donne. E’ uno dei passaggi memorabili del romanzo: “Solo le donne, che di guerra sembravano non sapere nulla, erano in realtà maestre nell’arte di non soccombervi. Morivano, certo, e in modo atroce, ma senza che la guerra si fosse impadronita dei loro cuori”.
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