Costellazioni urbane. La rete di relazioni che generano nuove città

… “Tocca alle volte e a me e alle capre di traversare la città; ma non sappiamo distinguerle … Le città per me non hanno nome: sono luoghi senza foglie che separano un pascolo dall’altro, e dove le capre si spaventano ai crocevia e si sbandano. Io e il cane corriamo per tenere compatto l’armento”… (Le Città Invisibili, Italo Calvino).

Cominciava così, qualche anno fa, una mia riflessione sul rapporto tra città e campagna. Era il risultato il un percorso formativo e del lavoro sperimentale, svolto all’interno della redazione di URUK – una rivista di architettura, che muoveva i sui primi passi. L’idea, era di descrivere una nuova costellazione urbana a partire da un paradosso: considerare un centro commerciale (EtnaPolis), come nucleo di un sistema urbano più complesso.

Lo scopo, era comprendere se fosse ancora attuale, dividere il territorio di studio in recinti urbani o se fosse più utile, allargare lo sguardo oltre le municipalità tradizionali. Se pensiamo oggi, all’esigenza di governare lo spazio della città metropolitana – con strumenti innovativi – appare utile ritornare sull’argomento e riproporre alcuni dei temi trattati.

Molte ricerche, evidenziano la tendenza di saturare gli spazi tra una città e l’altra (la campagna) oltre che sviluppare fenomeni di urbanesimo – attraverso la concentrazione di servizi pubblici, all’interno dei nuclei con più alta capacità attrattiva (nel nostro caso la città di Catania). Si determina così, un nuovo paesaggio: più dinamico, stratificato, fluido, con parti rarefatte (residui) e parti a forte condensazione (magnete) – connesse da reti. La categoria del paesaggio è senza dubbio quella più utile per costruire una mappa percettiva e tentare una decodificazione, utile per definire una strategia di governo.

La prima questione che salta agli occhi è il fatto che il nucleo centrale – costituito proprio da Etnapolis – ha un governo teocratico, con autonome capacità decisionali. Intorno a questo magnete si collocano le tre città di Paternò, Motta e Belpasso, intese come periferie. Queste, hanno invece un governo macchinoso, ma nello stesso tempo apparentemente più (democratico). Tra queste due entità (centro commerciale e città), si colloca la campagna urbana, chiamata cosi, proprio perché si sta configurando come spazio estensivo delle città (accogliendo residenze, capannoni ecc.) e oggetto di saturazione.

Non sfugge all’osservatore, che gli organismi descritti sono connessi da una rete di mobilità – strada e ferrovia – che li rende sistema, determinando un’armatura filamentosa e attiva di relazioni tra le parti. Persino i gestori della mobilità pubblica si sono adattati alla centralità del centro commerciale per offrire e concretizzare maggiori relazioni. In questo senso la lettura di “Urban Cosmographies” di Södertröm, Fimiani, Gianbalvo e Lucido, evidenzia che siamo di fronte a un nuovo modello commerciale, che trasforma le struttura del paesaggio adiacente con nuove gerarchie sociali e culturali. In pratica il link commerciale, determina le nove città.

Colpisce la morale del libro “Cosmofobia”, romanzo di Lucìa Etxebarrìa, che descrive un modello socio-commerciale, ormai ricorrente: la distribuzione abbandona il centro storico per occupare spazi nei centri commerciali fuori la città e lascia entrare senegalesi, cinesi, egiziani ecc. ecc. Questi ricostruiscono la rete solidale del piccolo commercio di quartiere. Quello che caratterizzava le nostre città e costruiva una rete di rapporti personali fatta da condivisioni, solidarietà e identità. Mi pare che ci siamo già!

Ma se osserviamo da vicino, possiamo notare che questi processi, sono in atto e in evoluzione. Se consideriamo che i nostri ragazzi, hanno determinato come punto d’incontro – serale, per le feste e per l’amore – lo spazio collettivo che afferisce a EtnaPolis, abbandonando gli spazi storici della città tradizionale. Persino il lunedì di pasqua, la messa la domenica, la partita con gli amici, le passeggiate al parco e tanto ancora, sono ormai parte dell’offerta del centro commerciale, che attira sempre più cittadini a se. Persino la maggiore qualità dell’architettura e dello spazio collettivo gioca a favore di queste nuove città-palazzo (di matrice cretese), progettate da note archistar.

Ovviamente l’autonomia gestionale, la velocità decisionale, determinano una maggiore competitività con i sindaci delle “periferie” afferenti. Queste sembrano destinante a diventare sempre più periferie con i loro centri storici abbandonati, destinanti a trasformarsi in nuove aree archeologiche. Fantascienza? Paradosso? Surreale?. Chissà! Nel frattempo la città costruisce verso il centro commerciale – che a sua volta costruisce verso la città – per saturare la campagna urbana.

Possiamo concludere che, un nuovo organismo urbano è nato o forse si sta configurando. Non possiamo contrastare questi processi, ma tentare di governarli si.

Ha ancora senso pianificare solo lo spazio afferente alla città? Forse sarebbe necessario pensare sin da oggi a una città, in cui Etnapolis (che sorge sui resti di un antico sito urbano) con il suo governo teocratico e decisionale, pianifica le sue periferie (Paternò, Motta e Belpasso) che ormai da anni non riescono a ridisegnare e gestire le trasformazioni, subendo da parte degli stessi centri commerciali satelliti (i presidi periferici della città palazzo) le regole del gioco. Scusate il gioco di parole e forse l’avervi proposto una visione (apparentemente) fumettistica, ma le costellazioni urbane che vi ho descritto, sono già la rete di relazioni visibili e non visibili, che stanno generando nuove forme di città.

Italo Calvino con le sue Città invisibile, ha forse prefigurato questo scenario, come un oracolo delfico. La città ha perso la sua monoliticità, si è fatta fluida, relazionale e metabolica. Pianificarla impone una visione di sistema, più innovativa e aperta a diverse discipline, interpretative del paesaggio culturale. Non è solo una questione di vani ed edificabilità, di oneri ed espropri, c’è tanto altro.

La città-palazzo di Etnapolis lo ha capito prima di tutti. Prima delle sue periferie.

Per un approfondimento

http://officina21.blogspot.it/2014/12/linventore-di-citta.html

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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