Ricorre oggi il 34esimo anniversario della morte di Giuseppe Fava, giornalista e scrittore, ucciso dalla mafia a Catania la sera del 5 gennaio 1984. Alle 17, da piazza Roma, il via alle manifestazioni promosse da associazioni e movimenti, con un corteo sino in via Fava. Alle 18 un presidio accanto alla lapide e alle 19, al teatro Verga, incontro-dibattito con la partecipazione di Claudio Fava, preceduto dalla proiezione di un trailer-film, e in chiusura, la consegna del premio Fava 2018 alla memoria di Daphne Caruana Galizia.
“Era un giornalista come pochi – ha sottolineato il vice-presidente nazionale dell’Unci, Leone Zingales – che verificava con attenzione e puntigliosità tutte le notizie che acquisiva. Un giornalista con la schiena dritta che ha dato fastidio ai boss, ai comitati d’affari e alle lobby politico-mafiose che hanno poi deliberato la sua condanna a morte. L’Unione cronisti ricorda Fava con immutata riconoscenza”. Per il presidente dell’Unci Sicilia, Andrea Tuttoilmondo, “oggi più che mai con la sua straordinaria testimonianza di coraggio, Giuseppe Fava rappresenta un indelebile punto di riferimento per intere generazioni di cronisti. Professionisti che nonostante le difficoltà di un contesto storico cosi’ difficile, seguendo sul solco tracciato da Fava hanno improntato la propria formazione ad una costante ricerca di verita’ e giustizia”.
Nel Giardino della Memoria di Ciaculli, cronisti e magistrati nel gennaio del 2005 hanno piantato un albero dedicato a Giuseppe Fava. E’ stato il primo albero piantato nel Giardino, assieme a quello dedicato a Borsellino. Lo scorso luglio Claudio Fava, all’indomani della visita della Commissione parlamentare antimafia nel Giardino della Memoria di Ciaculli, ha fatto pervenire un messaggio all’Unci: “Un Giardino della Memoria sono radici, piantate a trattenere insieme le cose accadute, i volti, le storie, le rabbie, i lutti, le promesse, le illusioni, le sfide, le verità rivelate e quelle taciute. E’ così ovunque, anche a Palermo, nelle tre terrazze di terra e di alberi piantate a Ciaculli. Da una parte la luce del golfo, dall’altra la montagna bianca e in mezzo questo lembo di terra riempito con i nomi di tutti i caduti per mano di Cosa nostra. Come un punto fermo. Radici salde. Memoria che cresce. I frutti? Quelli, nel Giardino della Memoria, non ci sono. I frutti stanno fuori da quel fazzoletto d’alberi e di lapidi. I frutti sono i vivi, non i morti: il loro modo di far buon uso di questa memoria e di evitare che servano altri ulivi, altri nomi, altre lapidi. I frutti tocchera’ a noi raccoglierli, se ne saremo capaci”.