“Praticamente la gente non moriva per mano di Dio. Siccome era in agonia e deve morire lo stesso, la facciamo morire prima sull’ambulanza, così noi guadagniamo 300 euro anziché 50 o 20”. Il racconto della “gola profonda”, fatto alle Iene nella puntata andata in onda il 21 maggio scorso, riporta alla mente gli esperimenti che il medico e criminale di guerra Josef Mengele faceva sugli internati nei campi di sterminio nazisti.
A Biancavilla, però, tutto si faceva per guadagnare soldi in più. L’affare, va sottolineato, era gestito dalle cosche mafiose del territorio, come ha accertato l’inchiesta della Procura e le indagini dei carabinieri di Paternò. Nella trasmissione di Italia 1, si badi bene, il nome di Biancavilla non viene mai fatto; si dice soltanto che “…ci troviamo in un paesino di cui non possiamo rivelare il nome”. Tutti, però, sapevano di quale paese si trattava, dando per certo che il tutto avvenisse nell’ospedale Maria SS. Addolorata di Biancavilla. L’ambulanza di cui si parla è un mezzo privato e non dell’azienda sanitaria.
Dentro “l’ambulanza della morte”, durante il trasporto dall’ospedale a casa del malato ormai in fin di vita, l’ambulanziere faceva una iniezione di aria nelle vene del paziente provocando, nel volgere di pochi minuti, la morte. La pratica, secondo quanto racconta il misterioso testimone – Marco è il nome di fantasia -, era in uso già dal 2012. Secondo una sua stima, con questo sistema sarebbero stati uccisi 18/20 pazienti l’anno: 100 morti, circa, negli ultimi 5 anni.
Il cambio di scenario veniva messo in atto per lucrare subito sul costo del trasporto: una cosa è trasportare in ambulanza un malato (l’offerta in denaro è libera), un’altra un cadavere. “Trasporto e vestizione del morto si pagano 300 euro” chiarisce il testimone.
Provocata la morte del paziente, dalla stessa ambulanza partiva la telefonata alle ditte di onoranze funebri che operano nel territorio. Il morto veniva “messo all’asta” per accaparrarsi la quota che l’agenzia di onoranze funebri riconosce a quanti fanno una segnalazione di questo genere.
“Chiamavano le agenzie per vedere chi offriva di più” racconta un altro testimone, nome di fantasia Mattia secondo il quale “… su quest’ambulanza succedeva di tutto e di più”.
“I boss – racconta Mattia – mettevano le persone a lavorare sull’ambulanza. Erano in due: uno guidava e l’altro stava dietro. Queste persone producevano soldi per l’organizzazione criminale”.