Ospedali. Cambiano le strategie rigenerative?

Ospedali

La questione ospedali – in particolare il loro ri-dimensionamento o ri-localizzazione – ha accesso il dibattito negli ultimi anni, in tante città siciliane. In questo senso, il neo Presidente della Regione Sicilia – Nello Musumeci – ha dichiarato il suo impegno a studiare nuove soluzioni. Ogni comunità si è vista privata di servizi medici essenziali e assistito impotente alle delocalizzazione di diversi reparti. I cittadini, riuniti in comitati hanno combattuto contro l’apatia, l’indifferenza, la strumentalizzazione e l’ipocrisia di tanti, forse troppi, tra gli attori e le comparse di questo teatrino. Nessuno ha mai avuto consapevolezza del disegno complessivo e delle ragioni (logico-funzionali) dello stesso. Tutti a tirare la coperta corta e tutti a far valere il maggiore o minore peso specifico della politica locale, per difendere i propri “campanili”.

Comprendo che il tema è complesso e il rischio di rompere gli equilibri economici e politici è alto, ma è venuto il momento di proporre una nuova riflessione, che tutti noi abbiamo voluto sottacere perché ancora illusi della possibilità di invertire e ripristinare lo status quo originario. Nulla sarà come prima e bisogna prenderne atto. Non ci rimane che immaginare un nuovo scenario, che garantisca i servizi sanitari essenziali e rilanci il tema della riconversione dei contenitori abbandonati o dismessi. Il patrimonio immobiliare, che sarà disponibile sul mercato nei prossimi anni – e penso agli ospedali come quelli del centro di Catania o di Paternò – è rilevante. Si tratta di ridisegnare una strategia sanitaria che tenga conto – non solo dei bilanci della regione Sicilia – ma dell’esigenza di decentrare altre funzione, all’interno della città metropolitana, collegandole alla mobilità esistente e in programma nel prossimo futuro. Credo che il punto di partenza di questa riflessione è la consapevolezza che il sistema “città metropolitana” debba ricollocare – decentrando – le polarità universitarie, direzionali, sportive, sanitarie, ecc. per costruire un nuovo organismo urbano integrato, la “nuova città metropolitana”. L’esigenza è di uscire dal conflitto che si sta consumando, tra Catania, intesa come magnete e unico nucleo attrattore e le città a corona, diventate quartieri periferici dormitorio. Questi ultimi perdono competitività ogni giorno, sempre di più, perché privati delle funzioni attrattive e del giusto appeal.

In un territorio come quello che gravita attorno a Paternò, lo svuotamento di alcune parti del “presidio sanitario” sono l’occasione per chiedere – sul piano politico e strategico – una compensazione funzionale. Se Paternò si può considerare cerniera, tra le aree interne e il nucleo costiero, allora è legittimo pensare che alcune funzioni universitarie afferenti alla sanità, all’agricoltura e agli studi umanistici – solo per fare un esempio – debbano trovare sede, nei contenitori che si renderanno a breve disponibili. Questi, riconvertiti e connessi alla mobilità pubblica, sarebbero l’occasione di rilancio del distretto della valle del Simeto.

Non stiamo proponendo la dismissione del presidio ospedaliero ma un innesto funzionale. Per semplificare possiamo immaginare che alcune specializzazioni mediche ,possono essere ospitate a Paternò con il relativo indotto: foresterie, alloggi per le famiglie dei pazienti ecc. Ma possiamo andare oltre, pensate ai dipartimenti afferenti alle scienze agricole, a quelle naturali, alla scuola di archeologia ecc. Stiamo parlando di studenti, docenti, indotto, ricettività. L’Ateno di Catania tenta di ricongiungere tutte le sedi decentrate, è utile per gli studenti? O forse no. La FCE serve solo ad attivare un flusso di pendolari verso Catania (che diventa l’unico soggetto che offre servizi e potenzia i suoi mercati) oppure ha l’interesse a ricongiungere il territorio in maniera più ecologica, riequilibrando i pesi in gioco – anche perché è in atto un processo di dematerializzazione dei servizi, sempre più verso le smartcity e le webcity.

La politica, regionale, provinciale e locale, ha il dovere di aprire un confronto in questo senso. La città di Paternò deve uscire dalla dimensione culturale del “massaro” per diventare protagonista di un sistema urbano più ampio, restituendogli tra l’altro, dignità storica. Non è una questione di campanellismo ma di ecologia di sistema. Riequilibrio e compensazione territoriale. La mobilità è l’armatura su cui fondare questa riflessione.

Visione immaginifica? Utopia urbana? Il rischio è che se non mettiamo mano a un nuovo modello di riconversione del presidio sanitario di Paternò – perché abbiamo paura di fare un salto nel futuro e perché “nulla si può fare, o si deve fare” (tipica resistenza locale) o peggio ancora se pensiamo che cosi facendo perdiamo tutto l’ospedale – assisteremo inermi allo smantellamento, senza alternative e la città lentamente muore. Servono strategie rigenerative, e queste non passano attraverso riti magici ma con la capacità di pianificazione a lungo termine, di cui la politica si deve assumere le responsabilità.

L’area dell’ospedale di Paternò, le sue parti già abbandonate, il comparto urbano ad esso adiacente sono un’occasione per esplorare questo tema. La possibilità che questa parte di città, cosi trasformata – connessa con il territorio metropolitano (attraverso il people mover della FCE), per accogliere funzioni ricettive, commerciali, sportive, scolastiche e del tempo libero, lungo la dorsale stradale di Corso Italia – è un’opportunità da cogliere.

La politica deve esplorare questo scenario nelle giuste sedi e costruire le condizioni per creare convergenze operative con: l’Università, la Regione, l’Ufficio Scolastico Provinciale, l’Azienda Sanitaria, le Scuole, la Camera di Commercio, la Città Metropolitana, ecc.

Serve una progettualità coraggiosa e innovativa, serve essere visionari e folli e ritrovare le ragioni della nostra identità. Al tavolo della concertazione, bisogna comunque presentarsi con le idee chiare e la determinazione di tutti, di tutte le forze politiche, sociali e culturali del distretto.

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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