Viviamo in una società allo sbando, con una disoccupazione alle stelle, un’agricoltura in crisi, una sanità che non funziona, un corpo elettorale che diserta in massa le elezioni. Tutto ci crolla addosso e che cosa accade? Si riaccende, come una maledizione ciclica, un vecchio e stantio dibattito: la contrapposizione tra giovani e anziani, tra il nuovo che avanza e il vecchio che non vuole abbandonare il campo. Espressioni come “l’avvenire dei giovani” o “l’avvento al potere dei giovani”, sembrano essere il preambolo al ricambio generazionale, l’unica liturgia accettata è il cambiamento, niente al di fuori del cambiamento, una sorta di angoscia collettiva si è impossessata della gente in messianica attesa della rivoluzione. Risultato di questa crisi compulsiva da giovanilismo? Il “vecchietto” Gentiloni che rottama il rottamatore Renzi; l’anziano D’Alema che impartisce lezioni di politica, torna in campo ed è tra i vincitori del referendum; il “Lazzaro” Berlusconi che a 83 anni rischia di rivincere le prossime elezioni; l’ultra settantenne Grasso che a furor di popolo viene acclamato nuovo leader della sinistra; l’attempato Musumeci che stravince contro il ragazzo Cancelliere. Per non parlare della gerontocrazia internazionale (Trump-Merkel-Putin).
A ben pensare una vera e propria catastrofe per i giovani malati di giovanilismo, per i giovani nati sotto i tentacoli della società dei consumi, giovani disincantati, disillusi, incattiviti, che non sognano una società più giusta ma si accontentano del presente, giovani già cinici, falsi giovani, diversamente giovani, in realtà vecchi dentro con i tratti distintivi degli anziani che dovrebbero sostituire.
Non hanno una visione, un progetto, nessuna utopia, non ne conoscono il significato, se non il loro interesse personale, non hanno le illusioni tipiche della giovinezza.
L ”ideologia del giovanilismo” punta alla retorica della novità, quando una cosa invecchia deve essere sostituita. Si tratta di una metafisica dell’obsolescenza delle merci tipica della società mercantilista.
Il mercato funziona nel momento in cui le merci possono essere sostituite da nuove merci, allo stesso modo i giovani devono sostituire i vecchi. Il parossismo dell’età giovanile ha finito per fare carta straccia del buon senso, la modernità ha prodotto una nuova categoria sociologica: i “giovani”, una nuova “classe” senza coscienza, creata in laboratorio dall’industria del profitto.
Il “nuovo per il nuovo” in simbiosi con il ritmo del mercato, un meccanismo teso all’infinito per inventare sempre il nuovo.
I giovani non sono più una realtà biologica, ma realtà priva di valori e oscenamente priva di speranze.
Li ho sentiti con le mie orecchie, questi giovani, qui in Adrano, urlare di gioia, non – si badi bene – per una vittoria politica foriera di una nuova società più equa e più giusta, ma per l’elezione di un loro rappresentante. E via a fantasticare di “ terze vie”, non oltre il marxismo e il capitalismo, ma più modestamente oltre personaggi locali, per una presunta riscossa generazionale.
Li ho visti con questi occhi, altri giovani, qui in Adrano, privi dei concetti fondativi della politica (speranze-prospettive-cambiamento-mediazione-ribellione-decisione), affidarsi come clientes a politici di professione sperando in un riscatto per la loro condizione di debolezza. Essi non comprendendo che si lasciano dominare da chi, invece, dovrebbero contestare, per una sorta di Sindrome di Stoccolma.
Tutto ciò lascia sgomenti, le elezioni regionali decretano un cambiamento epocale cioè la vittoria di Musumeci e il primato del Movimento 5 Stelle, la loro parte politica viene letteralmente “ asfaltata” e loro festeggiano perché il loro mentore ce l’ha fatta. Tatticismi, alleanze, strategie, di questo si occupano e sullo sfondo un paese in rovina.
Ma, ne sono testimone grazie al lavoro che svolgo, non tutti i giovani sono così fatti, ce ne sono alcuni che sanno che essere giovani non significa restare ragazzi in eterno, ma significa rifiutare il disincanto, combattere giorno per giorno per i propri valori, essere capaci di contrapporre il mito a questa realtà.
Essere giovani significa non credere ai padri che hanno insegnato loro di non sperare che con la lotta le cose possono cambiare.
Essere giovani è come intraprendere un viaggio nel passato tra i vecchi miti che destano la memoria della propria identità e vi è la voglia di restarne fedeli.
Essere giovani significa schierarsi contro la bruttezza dilagante, combattere le tirannidi, non chiedersi mai se una lotta vale la pena di essere intrapresa.
Essere giovani significa essere capaci di indignarsi, significa intraprendere una rivoluzione interiore per poi svegliare le coscienze assopite.
Essere giovani significa essere ribelli nello spirito, significa stare attenti a non guarire dalla propria gioventù.
Essere giovani significa essere guerrieri, capaci di tracciare perimetri, confini ideali, accendere speranze e indicare nuovi orizzonti.
“La giovinezza è l’irruzione del mito nella vita con la pretesa di realizzarlo…il mito eleva, volge il silenzio in parola e avvolge il mistero in bellezza, vede sotto altra luce, vede con altri occhi.” (“Alla luce del mito” M. Veneziani)
Antonio Cacioppo, 62 anni, insegna Storia e Filosofia al Liceo Classico “Verga” di Adrano. E’ coordinatore politico dell’associazione Symmachia.
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