Meno dannose del 95%: le sigarette elettroniche battono le “bionde”. Lo assicura un docente dell’Ateneo catanese

Fanno bene? Fanno male? Aiutano a smettere di fumare? Si scoprirà in futuro che sono più dannose di quelle tradizionali? Sulle sigarette elettroniche ancora tante domande e poche certezze, per questo l’agenzia Dire ha cercato di fare chiarezza contattando il professor Riccardo Polosa dell’Università di Catania, che ha effettuato uno studio sulle sigarette elettroniche. L’Università di Catania è tra le istituzioni scientifiche più produttive al mondo nella ricerca applicata alle sigarette elettroniche, seconda solo alla blasonata ‘Food and Drug Administration’ (Fda) statunitense.
Perche’ le ricerche sulle e-cig portano spesso a risultati contrastanti?
“Innanzitutto, – spiega il prof. Polosa – perché la metodologia della ricerca viene impostata in modo erroneo e poi anche perché gli approcci alla interpretazione dei risultati non sono uniformi. Inoltre, esistono interessi contrastanti nella gestione del sapere scientifico e delle sue ricadute sui percorsi decisionali. Ad esempio, molti degli studi che evidenziano rischi per le e-cig sono condotti su modelli animali o in vitro e tuttavia gli studi clinici non confermano queste preoccupazioni, anzi evidenziano chiari benefici per coloro che svapano regolarmente in sostituzione delle sigarette”.
Riccardo Polosa
Nella foto Riccardo Polosa

Che interesse ci sarebbe da parte delle multinazionali del tabacco visto che sono gia’ entrate sul mercato delle e-cig? “Si vendono e si venderanno sempre meno sigarette e per cercare di stare al passo coi tempi le multinazionali del tabacco devono trasformarsi. Ecco che le e-cig, così come i prodotti a tabacco riscaldato, rappresentano per le multinazionali una opportunità di diversificazione del loro tradizionale business model. E con buone opportunità di profitto. Inoltre, questi prodotti di nuova generazione sono molto meno dannosi per la salute rispetto alle sigarette e per via di questo le multinazionali sembrano riscattarsi in termini di immagine, rivestendo anche un ruolo positivo in termini di impatto sulla salute pubblica come sta già avvenendo in Giappone dove l’introduzione dei prodotti a tabacco riscaldato ha determinato una impressionante riduzione del tabagismo in quel paese”.

L’anno scorso dopo il Cop7 a Nuova Delhi l’Oms ha dichiarato le e-cig, nonostante il parere del Comitato scientifico, dannose come le sigarette tradizionale, salvo poi fare marcia indietro. Come si spiega questo passaggio confuso da parte di una istituzione come l’Organizzazione mondiale della Sanità?
“In quei giorni è stato tutto poco chiaro. Molti dei dati che alcune delegazioni avevano presentato sugli effetti positivi delle sigarette elettroniche non sono stati ne considerati ne tantomeno discussi. Al momento della discussione riguardante le e-cig, le porte del Cop7 sono state chiuse agli esperti, ai giornalisti e al mondo intero comportando una vergognosa mancanza di trasparenza. In quei giorni, io e altri scienziati avevamo sollecitato l’Oms con una lettera aperta ad una maggior controllo sulle manovre di alcune delegazioni di paesi con nessuna esperienza sul tema che avrebbero voluto forzare l’agenda del Cop7 e imporre il proibizionismo per i prodotti da svapo su tutti gli altri paesi. Dopo i nostri interventi, quando tutto è stato più chiaro, l’Oms ha deciso di aprirsi all’ascolto cambiando poi inevitabilmente e ragionevolmente la sua posizione sulla questione sigarette elettroniche”.
Possiamo dire che la e-cig sia meno dannosa delle sigarette tradizionali?
“Certamente. Partiamo da una considerazione che ritengo centrale ai fini della mia risposta. La combustione del tabacco produce migliaia di sostanze tossiche e centinaia di potenziali cancerogeni. Queste sostanze sono per lo piu’ assenti o, se presenti, in concentrazioni di gran lunga inferiori nell’aerosol prodotto dalle e-cig e da altre tecnologie che non bruciano il tabacco. Alcuni esperti stimano che le e-cig siano per il 95% meno dannose rispetto alle sigarette convenzionali. Questa stima e’ stata confermata da autorita’ sanitarie serie e rispettabili come il Royal College of Physicians e il Public Health England”.

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