L’uomo che sussurra al Papa è uno psicoterapeuta catanese deciso a dare un taglio netto al vittimismo italico (e meridionale in particolare) con uno slogan “benedetto” da Bergoglio: Vietato lamentarsi. Salvo Noè, 46 anni, psicologo, ha consegnato al pontefice il cartello con la scritta durante una udienza in Vaticano, il 14 giugno scorso.
Pochi giorni dopo l’incontro, il cartello era appeso alla porta d’ingresso dell’appartamento papale a Santa Marta. “I trasgressori – recita il sottotitolo dell’avviso – sono soggetti ad una sindrome da vittimismo con conseguente abbassamento del tono dell’umore e della capacità di risolvere i problemi”. Nel giro di pochi giorni il claim è divenuto popolare in tutto il mondo. Al mental coach siciliano (allenatore e motivatore di molti campioni dello sport) è stata chiesta l’autorizzazione a tradurre la parola d’ordine in inglese, portoghese, spagnolo, francese e tedesco.
Per le Edizioni San Paolo è uscito il libro con lo stesso titolo del cartello.
Noè lo ha presentato giovedì 30 novembre alla Libreria San Paolo di Catania assieme a mons. Gaetano Zito, vicario episcopale per la Cultura dell’Arcidiocesi di Catania, Salvo La Rosa, giornalista e conduttore televisivo e Nicola Savoca, giornalista.
Guardare avanti senza perdersi in chiacchiere non costruttive: è stato questo messaggio a colpire immediatamente Papa Francesco?
Sì, quando lui ha ricevuto il cartello ho notato subito una esplosione di gioia nel suo viso. Ha cominciato a leggere con attenzione realizzando subito che quel messaggio ne richiamava molti altri da lui pronunciati nei vari momenti del suo pontificato.
Cosa le ha detto quando gli ha consegnato il famoso cartello?
Ha detto solo “bellissimo” e lo ha fissato a lungo incantato. Subito dopo si è rivolto ai suoi collaboratori: “Voglio che questo cartello lo mettiate all’ingresso della mia stanza”. Non pensavo l’avesse fatto davvero. Giorni dopo, sul giornale, vedo la foto della porta d’ingresso della sua stanza e il mio cartello in bella vista: che grande emozione.
Ai meridionali, siciliani in particolare, campioni di vittimismo, anziché lamentarsi cosa consiglia di fare?
Li invito a concentrarsi su ciò che possiamo fare. Spesso passiamo troppo tempo a lambiccarci su ciò che non possiamo fare. Il messaggio è rivolto a tutti: politici, studenti, commercianti: bisogna rafforzare le competenze (capacità, conoscenza e comportamento) e utilizzare bene le risorse. Noi meridionali, com’è noto, non manchiamo di risorse ma non sappiamo come utilizzarle. Questo è il messaggio che sta dietro l’invito a non lamentarsi. Ottimizziamo ciò che abbiamo e facciamone qualcosa di più.
Ad interpretare in maniera errata il suo motto, si potrebbe pensare che lei voglia abolire l’ultima valvola di sfogo rimasta nelle mani dei meridionali: la lamentela, appunto.
Il lamento fine a se stesso non serve a nulla se non a indebolirci, a renderci vittime della situazione. Possiamo, è chiaro, sfogarci ma a patto di trovare una soluzione. Studi relativi alle neuroscienze sottolineano che lamentarsi riduce in ciascuno di noi la capacità del cervello di produrre risultati. Anche ascoltare lamentele per tanto tempo ci fa star male.
Le nostre lamentele sono figlie del meridionalismo anti-risorgimentale per cui se il Sud sta male è colpa del Nord. Ma è fuor di dubbio che in determinati contesti storici la Sicilia è stata trattata da Cenerentola. Quando ciò è accaduto abbiamo fatto male a lamentarci?
Dovevamo avere più capacità di proteggere ciò che era nostro e dare ad esso più valore. Noi siciliani non diamo valore a ciò che abbiamo: monumenti, bellezze architettoniche. Ed è lì che ci perdiamo. Sono cresciuto con il motto “lamentati e stai bene” e non l’ho mai accettato. Bisogna, invece, dare il meglio di se stessi, altro che lamentarsi.
Anche i mafiosi fanno ricorso alla lamentela contro lo Stato centrale e, più in generale, contro le istituzioni per giustificare il loro operato. L’abolizione della lamentela andrebbe vista anche in chiave antimafiosa?
E’ possibile perché si tratta di un discorso sociale che interessa la collettività. Se noi cambiamo il nostro linguaggio, in sostanza, cambiamo i risultati. La parola diventa corpo.
Nella classifica dei “brontoli” siciliani che non hanno fatto bene all’Isola chi merita di entrare?
Ce ne sono tanti ma non voglio fare nomi. Molte volte ci si lamenta degli altri senza assumersi la responsabilità. Rispondere con abilità a quello che ti capita nella vita: questo vuol dire responsabilità. La Sicilia ha bisogno di persone che abbiano le competenze giuste per prendersi le responsabilità.
Un discorso a parte meritano le lamentele calcistiche. Se i tifosi, a tutte le latitudini, dovessero applicare il suo consiglio, con ogni probabilità sparirebbe il calcio stesso.
Anche nel calcio è giusto continuare a denunciare ciò che non va purché tutto ciò non inneschi un meccanismo distruttivo. L’ottimista non è l’individuo al quale tutte le cose vanno bene ma colui che affronta le cose nel migliore dei modi.
Esiste una geografia, dentro e fuori i confini siciliani, di chi ama lamentarsi di più?
No, lamentarsi è un fenomeno planetario. Me lo conferma il fatto che il mio cartello è richiesto da ogni città del mondo.
La seconda edizione del libro dovrebbe avere la prefazione del Papa: non c’è di che lamentarsi!
(sorride) Sarebbe il massimo, la sintesi perfetta di un messaggio al quale tengo tantissimo e che il pontefice ha fatto suo per il benessere di tutti.