Salon e avant-garde: incontrarci di nuovo per sconfiggere la conformità delle idee

L’idea viene leggendo un libro. La bellezza rubata di Laurie Lico Albanese edito da Einaudi. Due donne le protagoniste, Adele e sua nipote Maria. Una fotografia della Vienna prima della grande guerra e degli anni che precedono l’ascesa del Nazismo in Europa. Sullo sfondo l’arte e le opere di Gustav Klimt. La Secessione Viennese, i Salon culturali, le mostre d’arte e la vivacità delle caffetterie nelle città d’Europa.

Questo racconto – poetico e drammatico allo stesso tempo – ci propone un’atmosfera, dei primi del ‘900, ricca di incontri culturali, dibattiti ideologici e fermenti politici. Nella trama del racconto, alcuni spunti per comprendere ciò che stiamo perdendo sul piano dei rapporti umani e culturali: di cosa significa libertà di espressione; del concetto di ricchezza e di come essa venga espressa, tra quell’epoca ed oggi; del significato di mecenatismo, tra il desiderio di educare e quello di condizionare le masse; sul valore della bellezza e dell’arte.

Tante le sollecitazioni, in un alternarsi di storie – costruite su due tempi narrativi – che hanno come filo conduttore, un quadro di Gustav Klimt, Adele Bloch-Bauer I. Il suo rapporto sentimentale con Adele – il soggetto ispiratore, e – in parallelo – la responsabilità di Maria – nipote di Adele, che ha il compito di recuperare il quadro perduto per restituirlo al patrimonio di famiglia. Quindi un racconto che parla di immigrati e rifugiati  – che scappano dall’atrocità del fanatismo nazista – e di uomini e donne, il cui unico torto era quello di essere ebrei e benestanti.
Adele è la figura centrale. Bella, colta, indipendente e coraggiosa. Musa di Gustav Klimt, amante intrigante e sensuale. La regina di Vienna e la padrona di casa dei Salon culturali. Eroina erotica e femminista.

Alcune cose colpiscono e suggeriscono delle riflessioni rispetto alla nostra contemporaneità. Per esempio, l’istituzione dei Salon. Luoghi in cui gruppi di intellettuali, artisti e scienziati – discutevano dei temi più attuali e utili per la crescita politica e culturale di una società che stava cambiando. Discutevano sulla possibilità di rendere disponibile – ai più bisognosi – la cultura classica o se fosse più utile quella tecnica. Si impegnavano a costruire delle biblioteche pubbliche per educare le masse. L’impegno di qu[sg_popup id=”6991″ event=”inherit”][/sg_popup]esta classe sociale – la borghesia dei primi del ‘900 a Vienna – è rivolta a sostenere la nuova arte e l’educazione di tanti.
L’arte è vista come funzionale per la crescita culturale e le visite nei musei pubblici, è l’occasione per comprendere, scoprire, vivere e incontrarsi. Uno sguardo, un simbolo, un colore, un paesaggio sono gli spunti per discutere di memoria, di coraggio, di libertà e di sacro. Quello che colpisce è il rapporto tra i Salon – guidati a Adele Bloch-Bauer e la gente che vive la città. Incontri che si trasformavano in atti concreti a carattere sociale, educativo ed economico.

L’arte – poesia, pittura, scultura e musica – era il territorio dello scontro e del confronto. Si poteva essere sostenitori dell’arte antica o di quella moderna. Dagli Impressionisti alla Secessione Viennese, compreso il Modernismo Europeo. Una tempesta di idee che proietta gli uomini verso il desiderio di modernità e libertà. Filosofia, psicologia, politica. La rivoluzione industriale, il socialismo, il comunismo, il liberismo e purtroppo anche il nazismo e il fascismo. Questi ultimi seppelliscono le idee, straziano l’arte libera e omogenizzano ogni cosa. Un fuoco vivo seguito dall’oscurità.
I totalitarismi europei sfruttano la povertà, il pregiudizio, il fanatismo, l’ignoranza, la diversità e il razzismo. E tutto questo riemerge oggi, anche se in maniera sfumata. Dobbiamo ricordare e ricordare e ricordare ancora. La memoria è uno strumento che ci garantisce un futuro felice.

Anche il coraggio, quello di esprimere le idee e difenderle, è una qualità che stiamo perdendo sull’altare della conformità, dell’uniformità, che è un terreno più comodo per sopravvivere, una confort zone. Adele è coraggio, è la donna che promuove l’arte nuova, contro ogni pregiudizio. La donna che – anche attraverso la sua ricchezza – incide nella società e nella cultura del suo tempo. La crescita non si realizza appiattendo verso il basso ma elevando verso l’alto.

Allora è necessario ricostruire – pur nella consapevolezza delle mutate condizioni – le opportunità per incontrarsi e disquisire di arte, di politica, di filosofia. Incontrarsi per capire e ascoltare le nuove idee. Avendo il coraggio di aprirsi alle innovazioni. A chi questo compito? Chi dovrebbe promuovere queste occasioni di crescita culturale. E dove?
Credo fermamente che bisogna uscire dai salotti recintati e sollecitare gli intellettuali e gli artisti a riconquistare gli spazi urbani, i luoghi pubblici. Riconquistare la città, le piazze, i cortili, i marciapiedi (come nella Parigi e nella Barcellona del XIX secolo). 

Ma non per parlarsi, per compiacersi, per essere autoreferenziali. Non per tutto questo. Ma per realizzare le condizioni ottimali allo sviluppo etico, sociale, morale e culturale. Impegnarsi a concretizzare le idee. Impegnarsi a realizzare fatti concreti: una biblioteca nelle aree più marginali delle città con libri nuovi e innovativi; uno spazio per incubare nuove idee dedicato ai giovani dei quartieri più periferici. Sviluppare luoghi per esercitare il pensiero divergente. Desiderare il conflitto dialettico, promuoverlo, non per creare recinti e asperità ma per esercitare il confronto e la libertà delle idee. Una battaglia per difendere le diversità. Recentemente sono rimasto incantato da una riunione (Salon) organizzata da un Circolo di Compagnia, in cui un medico –  Giuseppe Rizzo – ha presentato una visione nuova dell’Odissea e della donna, in chiave medica. Ha descritto il rapporto tra i mostri mitologici e le rare patologie mediche. Un racconto che andrebbe presentato a chi vive di pregiudizi. Un modo di vivere la cultura dell’Avant-Garde nella nostra modernità. Un’idea per incontrarci di nuovo, nello spazio fisico della città. Per scongiurare l’abisso della regressione barbarica a cui spesso si assiste nei luoghi del confronto virtuale. Per tornare futuristi.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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