Notte prima degli esami: sogni e speranze di una generazione sottovalutata

E’ tempo di esami di stato. Nessuno dimentica la notte precedente; la tensione, la paura, i caffe bevuti fino ad ubriacarsi, con la consapevolezza che l’adolescenza sfuma lentamente. Delle risate spensierate, degli scherzi sotto casa e dei primi amori. Nei locali a tarda sera – tra una birra e il fumo di una sigaretta che passa di mano in mano, fino a consumare le mani – si raccontano le mille avventure tra i banchi di scuola. Notti senza fine a inseguire gli ultimi capitoli, le ultime declinazioni. Le telefonate interminabili tra compagni, per scoprire il lato oscuro del programma scolastico, quello che non abbiamo mai studiato ma che adesso appare minaccioso tra i ricordi. E non ci aiuta la TV che ripropone sempre lo stesso film a fine giugno: Notte prima degli esami. Ormai lo conosciamo a memoria.

Gli scritti, poi l’attesa dei primi risultati e infine gli orali. Due settimane di adrenalina pura. Due settimane in cui l’intero Paese è in subbuglio. Gli esaminandi, le loro famiglie, i parenti lontani, gli amici più piccoli e quelli più grandi. La vicina di casa, il parroco e il dottore che ha prescritto vitamine e fosforo per tutti, specie per la mamma. E che dire dei professori? Quelli che ti hanno accompagnato per cinque anni. Che stanno per lasciarti. Che hanno fatto gli stronzi (almeno così sembrava) e invece sono li a nascondere le lacrime. Quelli che hanno creduto in te, che ti hanno spronato a fare di più, che ti portano per mano fino all’uscita della scuola e poi scompaiono per sempre dietro le finestre di quella scuola che rimarrà solo nei tuoi ricordi, mentre diventi un uomo o una donna.

Ogni tanto qualcuno dice che bisognerebbe eliminare gli esami – e forse sarei anche d’accordo – ma penso anche a tutta la magia che accompagna questo tempo. Forse è un modo rituale per salutarci e lasciaci andare facendo finta che tutto è secondo legge. La verità è che un gruppo di giovani salpa per la vita e noi a salutare dal molo di levante. Quanti sogni, quante attese e il presidente di commissione che recita la formula di rito: cosa farai dopo il diploma?

E’ forse questa, la domanda a cui non siamo preparati. Quella per cui pensiamo di non aver studiato bene. In quel momento manca il respiro, il battito del cuore, corre, come un puledro sulla spiaggia. Gli occhi si fanno grandi e le parole non trovano dove posarsi. Dietro di noi, i compagni di classe, i genitori (qualche volta) e tutte le nostre incertezze. Vorremmo dire tante cose, forse persino ammettere che il nostro sogno è quello di fare il medico, l’ingegnere, il professore. Ma qualcosa ci stringe la gola. Allora facciamo silenzio. Sorridiamo.

Qualcuno riuscirà a diventare medico, qualcuno riuscirà a realizzare i sogno dell’adolescenza, o fare lo stesso mestiere di papà o di mamma. Molti faranno altro. Ci proveranno a fare di più ma dovranno fare i conti con tante difficoltà, di ogni tipo. Avranno bisogno di essere più forti, più determinati, più motivati. Non sarà facile e nessuno regalerà nulla.

Ma questo non li deve scoraggiare. Perché gli eroi non sono solo quelli che appaiono sulle copertine dei giornali, non sono solo quelli che hanno la fortuna o la capacità di diventare “qualcuno” magari con una vita agiata.

Gli eroi sono quelli che – con passione – svolgono il loro dovere ogni giorno. Sono quelli che sapranno fare tesoro di ciò che hanno imparato a scuola. sono quelli che non tradiranno le idee di Cicerone, di Socrate e di tutti i grandi pensatori. Sono quelli che finalmente sapranno perché hanno studiato l’algebra e la geometria. Sono quelli che avranno ancora voglia di studiare, di scoprire. Sono quelli che – facendo il panettiere, l’operaio e il macellaio – avranno gli occhi rivolti verso il futuro, cavalcando l’innovazione e la sperimentazione. Sono quelli che non guarderanno il voto del loro compagno di banco agli esami ma ricorderanno le sue poesie, le sue risate, i suoi scherzi.

Il momento più bello è il pomeriggio dopo aver sostenuto gli orali. Quando il cielo è terso, i libri sono chiusi sul tavolino e ti sembra di vedere le vele già gonfie di vento e la prua è rivolta verso sud.

Bisogna godere di questo istante, di questo momento. Bisogna farlo con chi ci vuole bene. Bisogna essere spensierati e ottimisti. Guardare indietro per rivedere quel film avventuroso e affascinante che è stata la scuola.

La scuola – con tutto quello che ci sta dentro – è pur sempre una grande famiglia dove si diventa adulti. Ogni componente di questo mondo è presente nei nostri ricordi. Il bidello, quello che ci ha coperti per anni. I professori, quelli dolci e quelli più aspri. I compagni, che sono stati i nostri fratelli e il preside, che ha guidato la nave fino al porto.

Ogni studente che saluta per l’ultima volta – tra una lacrima e un sorriso – sembra di vedere un marinaio che parte per i mari d’Oriente. Carico di uno zaino pieno di cose preziose. Spesso impaurito ma forte di quell’incoscienza che ci rende coraggiosi.

Abbiamo consegnato a questi nuovi cittadini, le chiavi per aprire le porte del mondo. Ora devono trovarle da soli e il ricordo delle nostre parole sarà la luna che li guiderà nella notte buia.

Ma il ricordo più inteso sarà la notte prima degli esami. Quel confine metafisico tra il passato e il futuro. Un rito antico come il mondo. Passaggio tra la favola e la realtà. Spesso ho detto agli studenti: dovete andar via. Non potete restare qui per sempre. Il vostro tempo a scuola è finito, a questa scuola. Volare, aprire le ali verso il cielo. Per diventare eroi del vostro tempo. Piccoli eroi, anche quando sarete mamme e papà. Quando sarete felici del vostro primo lavoro. Quando vi sentirete forti per la vostra prima materia all’università. Quando penserete di essere diventati più bravi dei vostri maestri. In quel momento noi sapremo di aver fatto il nostro lavoro. Spesso silenzioso e prudente. Quello dell’insegnante.

Buona strada, cuccioli d’uomo. Che il vento possa gonfiare le vostre vele. A tutti quelli che stanno facendo esami e a quelli che trepidano per loro.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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