Linguaggio: sedersi attorno a un tavolo perché tutto resti com’è

D’accordo, se proprio insistete sediamoci attorno ad un tavolo e vediamo se insieme possiamo risolvere la questione. Facciamo finta che la mia ostinazione possa trovare un ventre molle nella vostra granitica indisponibilità. Prendiamoci in giro, facciamo “scumazza”: basta che tutti si stia seduti attorno ad un tavolo. Non so quando l’espressione “sedersi attorno a un tavolo” sia entrata nella hit-parade del sindacalese, il linguaggio specialistico utilizzato nel mondo del lavoro grazie al quale se sei stato licenziato e quindi hai perso il posto di lavoro puoi sempre dire di essere in mobilità, espressione consolatoria quanto il “paraplegico non trombante” pronunciato da Ugo Tognazzi in Amici Miei. Ormai non esiste questione politica o sindacale senza che uno dei protagonisti non pronunci la parolina magica davanti ai microfoni: “sediamoci attorno a un tavolo e discutiamone”. Ma per fare cosa ? viene da dire. Basterebbe un foglio A4, una penna bic e un piano d’appoggio ( col cavolo che dico tavolo ) per formulare in punti precisi le richieste di una parte e le relative risposte dell’altra, queste ultime riassumibili in un “sì, si può fare” e “no, non se ne parla nemmeno”. Prendete l’esempio dei “tavoli tecnici” sui quali governo nazionale e governo regionale si sono cimentati a più riprese. E’ chiaro a tutti che solo la forza del dissenso, la capacità di mobilitazione e il potere di interdizione della parte richiedente possono condizionare la trattativa. Potenti e spiantati non si riequilibrano se li metti a sedere.

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