Il viaggio: partire per capire, tornare per sperimentare

L’Uomo vive intensamente l’esperienza del viaggio. Metafora della vita. Si parte verso l’ignoto, verso il mistero e l’imprevedibile. “Quando ti metterai in viaggio per Itaca /devi augurarti che la strada sia lunga, / fertile in avventure e in esperienze. / I Lestrigoni e i Ciclopi / o la furia di Nettuno non temere, / non sarà questo il genere di incontri / se il pensiero resta alto e un sentimento / fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo. / In Ciclopi e Lestrigoni, no certo, / né nell’irato/ Nettuno incapperai / se non li porti dentro / se l’anima non te li mette contro.” (Itaca, Costantino Kavafis, 1911)

In questi giorni, molti studenti vivono l’esperienza del viaggio di istruzione. Le scuole di tutta Italia organizzano, per i loro alunni la “gita” scolastica di fine anno. In Sicilia, in Italia, in Europa. Viaggiare per conoscere luoghi nuovi, gente diversa, usi e modi diversi dalla nostra quotidianità. Storie, leggende, racconti. La cultura di un popolo, le sue tradizioni e i sui riti. Anche le sue tragedie, compreso i sogni infranti. L’onore e l’orgoglio, le conquiste e le sconfitte. La cultura enogastronomica, i prodotti tipici e la lingua. Viaggiare è sperimentare tutto questo ma è anche cercare, scoprire, indagare, scavare, scrutare, guardare, ascoltare tra le pieghe e negli anfratti della storia. Il discente, accompagnato dal docente, vive questa esperienza (o dovrebbe viverla) come i grandi viaggiatori del ‘700 del Gran Tours, che attraversavano l’Europa fin dentro l’anima di questo continente: l’Italia con le sue gemme preziose.

L’essenza della gita scolastica o del viaggio d’istruzione, non si riduce solo nel vedere i tesori della storia o nell’attraversare lunghi corridoi, disseminati di opere d’arte. E’ al contrario l’esercizio culturale dello sguardo. Il paziente lavoro di selezione tra le infinite stelle. E’ l’elaborazione simultanea – tra le tante sollecitazioni – di un racconto originale, il nostro. Disegnare, fotografare, scrivere, raccontare. E’ selezione tra tutto. E’ la stessa definizione di paesaggio culturale che ci accompagna verso la consapevolezza di questo spazio esperenziale.

Qualche volta ci soffermiamo a rovistare tra i souvenir, dentro i centri commerciali, tra le bancarelle del tempio e perdiamo l’occasione per rigenerare la nostra anima, per riempire di bellezza i nostri occhi. In questi casi è come se non fossimo mai partiti, come se fossimo rimasti a casa. Cerchiamo le stesse condizioni di partenza, persino gli stessi brand di casa, o la stessa catena di commerciale di fast food e parfum. Ci rassicura, ci fa sentire a casa. Perché viaggiare significa perdere la condizione rassicurante di casa, è mettersi in gioco, rischiare.

Per comprendere i luoghi, bisogna ascoltare ogni sussurro. Guardare ogni sfumatura. Vivere ogni attimo fino a sfiorare le antiche pietre con l’anima. Entrare nelle cose, fare domande, essere curiosi. A partire dalla mappa fisica dei luoghi fino a costruire una nuova mappa culturale, che sarà la nostra. La cattedrale, la bottega del formaggio, la piazza del campo, la torre con il bosco, la pioggia all’improvviso, il dolce con il miele, la santa, le reliquie, il cipresso e il fiume che attraversa la città. Poi l’arte antica e la bellezza che invade le strade.

L’esercito di piccoli turisti, invade ogni luogo, violenta il silenzio dei templi sacri e divora ogni cosa. Colleziona voracemente piazze, strade, edifici e negozi. Come un ronzio – tra un sms e un selfie – appare la voce fuori campo della guida o del docente e sembra che questa rimbalzi inutilmente, perdendosi nell’aria. Non è così. La voce si sedimenta nella memoria, si archivia nei sotterranei della mente e fermenta come il vino. Bisogna essere pazienti. Bisogna essere fiduciosi. Passerà del tempo ma … tutto tornerà a galla, riemergerà come flutti dal mare e ne sarà valsa la pena, di narrare le gesta di uomini ed eroi di terre lontane.

Viaggiare è vivere nuove storie, è crescere, è imparare ad adattarsi. E’ capire cosa significa stare insieme. E’ misurare se stessi e capire cosa vogliamo essere e cosa siamo. E’ scoprire da dove veniamo e dove vorremmo vivere. Ma è anche desiderare di tornare per poter raccontare. “Devi augurarti che la strada sia lunga. / Che i mattini d’estate siano tanti / quando nei porti – finalmente e con che gioia – / toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista / madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi / penetranti d’ogni sorta; / più profumi inebrianti che puoi,
va in molte città egizie / impara una quantità di cose dai dotti”
(idem)

Forse sarebbe una cosa utile, che tutti potessero viaggiare. Ma viaggiare per guardare e non per ritrovare gli stessi centri commerciali di casa nostra. Forse bisognerebbe mandare – magari i governanti, i politicanti, i giullari, le comparse, i Don Abbondio, gli Azzeccacarbugli, i Bravi e Don Rodrigo – a quel paese. Non proprio quello di sempre ma un vero bel paese. Per imparare. Perché il viaggio è lo strumento per crescere. Perché è necessario partire per capire e tornare per sperimentare. Per questo motivo i padri e le madri mandano i loro figli alla gita della scuola, poco importa dove, l’importante è viaggiare e Vivere tutto questo come un’avventura utile per coltivare bellezza nel proprio orto. Imparare, apprendere, sperimentare, importare buone pratiche.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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