Teatro, a Trecastagni “Grasso è bello” e anche leggero: applausi ai DistrAttori

C’era il pienone l’altra sera al Teatro comunale di Trecastagni intitolato all’indimenticato Turi Scalia, si dava alle scene una Commedia Musicale; un tempo la si chiamava Rivista e oggi, in ossequio all’inglesismo dominante, viene chiamata Musical.
Un genere fortunatissimo in Italia fino agli anni sessanta e settanta e poi gradatamente in disuso per 100 motivi che non possono essere riassunti per brevità e che è caratterizzato proprio da quello che s’è visto l’altra sera: la leggerezza: uno spettacolo che spezza la pesantezza del vivere quotidiano con la musica accattivante e una trama semplice, intuibile e allegra, con un’immancabile lieto fine. Così è stato con la commedia musicale “Grasso è bello” nell’adattamento del gruppo teatrale i DistrAttori. L’originale debuttò a Broadway col titolo Hairspray (lacca) nel 2002, scritta a quattro mani da Marc Shaiman, Scott Wittman, Mark O’Donnel, e Thomas Meelhan. La commedia, tanto nell’originale quanto nell’adattamento, ha la pretesa d’essere leggera, ma al tempo stesso non solo vuole indurre alla riflessione lo spettatore, ma vuole combattere anche una battaglia ideale contro l’ingiustizia dell’esclusione del diverso (il grasso e il nero nel nostro caso) dal godimento di pari diritti e pari opportunità all’interno della comunità che gli è propria. Un tema non da poco come si vede; e che i DistrAttori hanno reso “leggero” nella giusta misura, con quella leggerezza di cui si diceva dianzi, la quale “non è superficialità, ma è planare sulle cose dall’alto” senza “avere macigni nel cuore” come ci ha insegnato Italo Calvino nelle sue Lezioni Americane. La storia si svolge a Baltimora nei primi anni ‘60, nel bel mezzo del conflitto tra conservatori e progressisti, in lotta per l’integrazione delle persone di colore. La giovane e solare Tracy, nonostante sia obesa, è un’ottima ballerina. Il suo sogno è quello di partecipare, con la sua amica Penny, allo show televisivo più visto per i giovani: il “Corny Collins Show”. Quando una delle protagoniste decide di lasciare il programma, la produzione va alla ricerca di un nuovo volto da lanciare. Tracy, grazie al suo talento, elimina tutta la concorrenza tra cui Amber Von Tussle, la giovane stella sostenuta dalla madre, che farà di tutto per eliminare dal programma la giovane Tracy additandola per la sua obesità e perché amica di persone di colore. Tracy però riuscirà ad ottenere il successo in Tv, conquisterà l’amore e si batterà per i ragazzi di colore. Così come richiede il topos connesso al genere, il bene trionfa sul male e la festa finale ne sancisce il trionfo in un crescendo compiaciuto di gioia e condivisione fra personaggi, attrici, attori e pubblico. Alla regia s’è cimentata, compiendo qua e là qualche miracolo scenico Giovanna D’Angi. Hanno dato il meglio della loro arte nel ruolo di Tracy, Annachiara D’agata; della madre Edna, Giovanni Pulvirenti; del padre Wilbur, Antonio Costantino e della perfidamente umana Welma, Liliana Biglio.  Il collettivo (circa 40 fra attori e ballerini) ha funzionato molto bene e fra le giovanissime attrici è parso di vederne più d’una di sicuro talento. In cauda venenum, sia consentito al critico malevolo di lanciare uno strale sugli autori americani dell’opera e alla loro weltanschauung (ndr: concezione del mondo): il tema delle diseguaglianze e delle diversità neglette è un tema quasi mai a lieto fine perché se le leggi e il costume possono a volte mitigarlo, ciò non può avvenire a livello psichico dove il diverso nel corpo sperimenta il “tradimento del corpo”. Tradimento al quale non è quasi mai preparato e che ne devasta l’anima. Vorrebbe essere bianco ed è nero, vorrebbe essere magro ed è grasso, alto ed è basso, bello ed è brutto, giovane ed è vecchio, uomo ed è donna e viceversa, vorrebbe essere come nel sogno e non lo è, prigioniero di un corpo che non vuole e che lo trascina all’ombra di se stesso; e ciò al netto delle contumelie di cui è oggetto da parte della gente. Sono drammi, a volte tragedie, strazi psichici con epiloghi molto, molto tristi. No, grasso non è bello nell’era della presunta perfezione del corpo filiforme. In ogni caso, lo spettatore benevolo non può che essere sempre grato ai DistrAttori  per la felice occasione di riflessione che gli ha fornito.
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