Il Giro d’Italia, una risorsa per il territorio

E’ l’edizione centouno, quella di quest’anno. Il Giro d’Italia. La manifestazione ciclistica che unisce tutta l’Italia da Sud a Nord. Partita simbolicamente da Gerusalemme si concluderà a Milano come sempre per la passerella dell’ultima tappa. Premi della montagna, vincitori di tappa, la maglia rosa. Un evento antropologico che unisce tutte le generazioni. Nella storia tanti eroi, da Fausto Coppi a Gino Bartali; da Felice Gimondi a Francesco Moser; da Gianni Bugno a Marco Pantani; da Fabio Aru al nostro Vincenzo Nibali, lo squalo di Messina. Questi sono alcuni dei nostri eroi – del passato e del presente – che combattono o hanno combattuto contro i forti olandesi, francesi, spagnoli e inglesi. Per elencarli tutti ci vorrebbe l’enciclopedia. Una festa dello sport che ci accompagna nei paesini più sconosciuti e che presenta i paesaggi incantevoli di questo Bel Paese, l’Italia. I cronisti della radio e della TV diventano i nostri compagni di viaggio alla scoperta di luoghi incantati, di città storiche e dell’arte.

Il ciclismo è anche fatica, è rinuncia, è strategia, è l’allegoria della vita, della nostra vita. Discese, salite, pianure, sole che brucia la pelle, pioggia che scava la carne e lungo le strade l’urlo della gente che anche per un solo istante vuole vedere i suoi eroi delle due ruote, che sfrecciano come proiettili verso il traguardo.

Dopo la figura del “contadino” mi piace riflettere su quella del ciclista. Apparentemente un solista, un viaggiatore solitario ma nei fatti è la punta di una squadra che deve gestire le proprie risorse, definire le giuste tattiche e fare i conti con la strada – qualche volte amica e qualche volta spietata – e con gli avversari, spesso silenziosi e pronti all’attacco improvviso, quando la salita non perdona. E’ la metafora della vita, dove le salite opprimono i nostri sogni e le discese possono sembrare la soluzione ma possono nascondere insidie. E’ la metafora della nostra esistenza, fatta di apatiche pianure che si risolvono alla fine con la volata al traguardo, dove basta l’ultimo colpo di reni per vincere la tappa. Potremmo continuare per ore e scoprire la corrispondenza in tante cose della nostra umanità.

Ma oggi vi voglio far vedere tutto da una nuova prospettiva. Il giro d’Italia come strumento di manutenzione dei nostri territori. Chi non ha registrato la presenza di buche (anche voragini) nelle strade urbane e di campagna? Strade abbandonate che provocano la distruzione delle macchine e delle moto. Strade che diventano pericolose per tutti, in cui cresce qualunque vegetazione, che ci ingannano quando piove, facendoci sprofondare con tutta la macchina dentro un buco nero, che inghiotte anche l’anima. Una tragedia, una sofferenza, un supplizio. Passa la voglia di guidare, di camminare, di andare in bici o in moto.

Poi arriva il Giro. Il colpo di scena. Si trovano – e giustamente – i fondi per asfaltare e rifare il manto stradale. Che diventa “liscio come l’olio” (dice un mio caro amico, con l’entusiasmo di un bambino). Mi racconta (lui) che la strada che per quasi sedici anni ho percorso in condizioni limiti e proibitive. La strada che sembrava un formaggio svizzero, che ci voleva il super SUV cosmico per attraversare quella bella campagna che caratterizzano i paesaggi di Ramacca, Gerbini, Militello e Jannarella, fino al fiume e fin dentro le città, adesso è come dice (lui) liscia come l’olio. Finalmente. Poi da quando qualcuno ha fatto fuori le Provincie Regionali, depotenziando il loro compito di manutenzione delle strade, la situazione era davvero tragica. Adesso la Regione Sicilia, ha provveduto a manutentare in emergenza i tratti interessati dal Giro d’Italia e meno male che questo (il Giro) passa proprio da quelle strade che gridavano vendetta. In questo senso ci sta pure che l’evento è l’occasione per far sentire la presenza e l’impegno della politica nei territori, ci sta. Ci sta che arrivino le TV, che i sindaci espongano le bellezze dei propri paesi, che esca la banda, che tutti diventano ciclisti e si vestino di rosa, ci sta che l’Assessore Regionale Marco Falcone si faccia in quattro, perché tutto sia fatto bene e nei tempi giusti.

Ma quello che mi colpisce è la richiesta della signora del piano di sotto, del fruttivendolo della via principale, del bar della piazza, del meccanico di via Garibaldi, della nonna del mio amico e di mio nonno – quello che ormai ci guarda dall’alto. Tutti chiedono che il giro possa passare davanti alle loro case, alle loro botteghe, ai loro giardini e persino alle proprie tombe. Si perché tutti vogliono la strada liscia come l’olio (come dice il caro amico mio). Devo essere sincero, anche io vorrei che il giro passasse davanti a casa mia e davanti alla mia scuola, anche dalla mia chiesa, magari un bel giro solo nel mio paese, anche nei paesi vicini. Per poter asfaltare subito e efficacemente le nostre strade.

Mi chiedo, possiamo fare più Giri d’Italia ogni anno? Magari dentro le nostre città? Penso che forse a Gerusalemme avevano qualche problema anche loro (nelle strade) – si sa, che li qualche problema c’è sempre nelle strade – e che abbiano chiesto un aiutino a San Gino Bartoli, uomo giusto.

Insomma, il Giro è una risorsa per i territori. Fanno esplodere la festa tra la gente e l’entusiasmo invade tutti. Proiettano le nostre bellezze all’attenzione internazionale (se penso alle inquadrature dall’alto). Avvicinano i politici alla gente. Una specie di giorno di vacanza inaspettato per le scuole e gli studenti (anche per i docenti). L’asfalto nuovo nelle vie dove si corre in bici. Io il prossimo anno vorrei che a Paternò il giro passasse da via Acide De Gasperi e da sotto casa mia. Magari vedo lo squalo di Messina – Vincezo Nibali – e la signora del piano di sotto con suo marito che sventolano le bandiere dell’Italia, sorridendo al passaggio dei ciclisti, tutti colorati. E chi doveva dirlo che gli organizzatori del Giro d’Italia – la gazzetta dello sport del mitico Candido Cannavò – sono come la Cassa Depositi e Prestiti?

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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