Ricordo di Santo Parisi, l’Istrione degli anni ruggenti di Paternò

Il 2 marzo del 2014 ci lasciava troppo presto Santo Parisi: per una strana coincidenza il suo cuore cessava di battere nel pomeriggio della domenica di Carnevale. Una perdita per la famiglia, per gli amici e anche per Paternò tutta. Santo è stato descritto in svariati modi, con diversi appellativi, come si addice a un personaggio poliedrico. Lui era sempre autentico, sé stesso: semplicemente Santo Parisi. La storia della sua vita, ad un tratto, si è intrecciata con quella della città. Lui recitava ruoli diversi, ha partecipato con un contributo generoso alla vita della città, e forse ne ha subito qualche effetto ingiusto. La vita è fatta così. Anche in questo quarto anniversario, Paternò lo ricorda con infinito affetto che viene manifestato alla sua famiglia, ai suoi figli, ai piccoli nipoti.  Santo Parisi resta nei nostri cuori, nei cuori di tutti.
Paternò dopo l’unità d’Italia era un paese ricco: le cronache del tempo lo descrivevano come un paese laborioso. Vi vivevano molti artigiani, ‘stazzunari’, ‘curdari’ e ottimi ‘carrideri’. Anche Santo Parisi era cresciuto in una famiglia di artigiani: i nonni paterni erano sapienti ‘quadarari’, forgiavano ottime “quadare” da vendere nelle fiere dei paesi. Don Luigi “Quadara” – così a quei tempi si individuavano le persone, più ancora che dai cognomi, per affrancarsi da quel mestiere -, aveva messo su una moderna falegnameria. In via Santa Margherita aveva allestito la falegnameria con pialle e nuove attrezzature per lavorare il legno. Le cose a don Luigi andavano bene, lavorava per conto terzi: ‘opere morte’, porte e finestroni andavano a ruba. Gli era rimasto comunque il nomignolo di “don Luigi Quadara”.
 
Santo, malgrado avesse la stessa mole fisica del padre, grandi mani buone per un bravo artigiano, di quel lavoro non ne voleva sentire parlare. Rimasto orfano, la signora Elvira Costa lo tirò su, come fa ogni buona mamma. Aprirono un piccolo supermercato in via Vittorio Emanuele, ma per poco tempo: neanche quella fu la strada giusta per Santo. Che cominciò a fare l’assicuratore guadagnando le provvigioni. Poi, come tanti giovani suoi coetanei, agli inizi degli anni 70 iniziò a lavoricchiare con un contratto a termine per il comune di Paternò. Un sorta di stagista, si direbbe oggi. Nel 1976, dopo essere stato assunto a tempo pieno, si sposò con la ragazza che amava, Teresa, la compagna che aveva conosciuto tra i banchi di scuola. 
E’ proprio tra i banchi di scuola, che Santo scopre di essere un bisbetico da domare, con l’indole del giullare. Frequentò il primo circolo presso Palazzo Alessi con il maestro Furnari prima e poi il maestro Cantale. Fu alunno dell’insegnante Mimma Gennaro, nelle classi della scuola media a piazza della Concordia.  Questi alcuni dei suoi compagni di sempre: Turi Chisari, Tino Conti, Ottavio Cutitta, Nino Mirenna che lo ricordano come un compagno sempre allegro. Certo a quei tempi, non esisteva Facebook l’amicizia aveva un altro significato. Santo amava circondarsi di tanti amici autentici, con molti di loro spensierato andava a fare le scampagnate, faceva l’animatore di serate di ballo in casa. Gli piaceva cantare, cantava in inglese, lui che l’inglese non lo sapeva parlare. Tra i preferiti cantava pezzi di Fred Bongusto o Charles Aznavour (“L’istrione” il suo cavallo di battaglia). Dopo la scuola dell’obbligo si era iscritto al magistrale, lasciò molti dei vecchi compagni che andarono al liceo scientifico, ma ne trovò di nuovi come Angelo Castorina. Lo ricorda bene Turi Chisari, quando con l’associazione studentesca degli universitari, l’ASU, Santo che non era iscritto a nessuna facoltà, in groppa a l’asino, con le matricole, faceva le scorribande tra le vie di Paternò.
Amava lo sport, le sua grandi passioni erano il baseball e il calcio di cui era anche corrispondente del quotidiano sportivo “Corriere dello Sport”. Come non ricordare le trasferte per seguire il mitico Paternò calcio, con gli amici giornalisti Giovanni Palumbo e Stefano Arcobelli. Lo si incontrava a Palazzo di città, col basco variopinto, sempre cortese con tutti. Sorridente, affabile,  ironico e istrionico. Mai banale, sempre pungente. Simpaticamente ammaliante. Nel secolo appena passato, e anche dopo gli anni difficili del dopo guerra, fino agli anni ‘90, Paternò aveva un Carnevale invidiabile: carri allegorici, macchine infiorate e gruppi in maschera. Tutti in pista per l’allegria, si diceva, ma anche per competere. Santo Parisi come tanti suoi coetanei, a Carnevale non disdegnava travestirsi in maschera. Era entrato in quella sana competizione tra gli organizzatori di gruppi in maschera. Come non ricordare i gruppi organizzati da Tanino Palumbo, Titta Fallica, Salvatore Anicito e Manuele Bonanno. Di tutti questi personaggi si conservano foto che ne ricordano le gloriose gesta di quel carnevale che non c’è più. Santo, sotto lussuose vesti, sfilava giocherellando con la gente. Ricorda Pippo Fallica: “La gente non rientrava a casa, se prima non vedeva sfilare Santo “Quadara”, lui era un autentico interprete del Carnevale di Paternò”
Scendeva tra gli ultimi del gruppo, a passo leggiadro giù per la via principale. Come tanta gente, anche la sua famiglia era lì, aspettava da zia Ida, per vederlo esibire. Un saluto, una smorfia un bacio, e poi continuava la sua elegante performance fino a tarda ora. Ovviamente amava il Brasile. Negli ultimi anni della sua vita era riuscito a coronare un piccolo sogno: sfilare nel Sambodromo di Rio de Janeiro.
Chissà se in futuro, qualcuno saprà raccoglierne l’eredità, con la sua stessa parlata o il fascino dell’istrione, come sapeva essere Santo. Lui non c’è più, manca alla famiglia, ai suoi ex compagni di scuola, agli amici, agli ex colleghi. Inimitabile Santo, istrione dei nostri anni ruggenti.
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Riguardo l'autore Alfio Cartalemi

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