Adrano, tutte le accuse dei pentiti contro il clan Santangelo

ADRANO. Non uno ma dieci pentiti, un ‘esercito’ di collaboranti che punta il dito contro il clan Santangelo di Adrano. L’operazione antimafia di ieri si basa proprio sul racconto dettagliato delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia: Antonio Zignale e Salvatore Martello Paterniti del clan Santangelo; Gaetano Di Marco e Giuseppe Liotta del clan Scalisi; Valerio Rosano, il pentito rinnegato dai propri familiari con i manifesti a lutto affissi sui muri di Adrano; Francesco Musumarra, clan Morabito-Rapisarda di Paternò. Dichiarazioni rilevanti sono state rese ai magistrati della Procura di Catania anche da Mirko Presti, Carmelo Aldo Navarria, Antonino Prezzavento e Gianluca Presti, tutti del gruppo di Belpasso del clan Santapaola-Ercolano.

I CLAN SANTANGELO E SCALISI DIVENUTI “FRATELLINI”

In alcuni casi i collaboranti della cosca adranita hanno militato nelle due cosche rivali Santangelo e Scalisi. E’ anche grazie a loro che è stata certificata la pace tra i due clan per ragioni di interesse. Nelle carte dell’inchiesta è finito un incontro a Monterosso (quartiere generale del clan Santangelo)  tra Pietro Maccarrone e Nicola Amoroso, tutti e due della famiglia Scalisi, con Santangelo Gianni inteso Giannetto, nipote di Alfio. Si parla di soldi da recuperare. Amoroso e Maccarrone, nel pomeriggio dello steso giorno parlano con Nino Crimi di crediti da esigere; se la vittima non avesse pagato si sarebbero fatti dare l’abitazione: “Io ho sentito 40…30… e ce li dividiamo come fratellini”.

IL CLAN TACCUNI SECONDO ZIGNALE

“Negli anni 2014-2015 – racconta Antonino Zignale il 28 settembre 2016 – il capo riconosciuto del clan mafioso era certamente Alfio Santangelo ma lui non si occupava in concreto di spaccio o di estorsioni. Sempre nel periodo 2014-2015 e sino al suo arresto il vero responsabile del clan, nominato dallo stesso suocero Alfio Santangelo era Nino Quaceci che si occupava di estorsioni e di rapporti con altri clan anche di Catania. Poi sempre nel clan con ruoli di rilievo vi erano Nino Crimi genero di Alfio Santangelo, Salvatore Crimi fratello di Nino detto Turi u cani, poi Gianni Santangelo detto Giannetto, Tonino Bulla detto u picciriddu, Antonino e Giuseppe La Mela, e per un periodo anche Alessio Samperi che poi è stato allontanato.

TENERSI “PULITI” PER PRENDERE LE REDINI DEL CLAN

Parlando di Salvatore Quaceci, uno degli arrestati, Valerio Rosano rivela agli investigatori un particolare di primo piano: “Quando io sono stato arrestato lui percepiva lo stipendio ma per ordine del nonno lui e suo fratello Alfio non dovevano fare né estorsioni né spaccio di droga né altri reati in modo tale che se c’era un blitz e venivamo tutti arrestati loro potevano prendere le redini della famiglia… Sia lui che il fratello dal padre avevano avuto tutte le carte delle estorsioni e tutte le indicazioni relative all’organizzazione dello spaccio in modo tale da essere pronti a prendere le redini del clan.

“PRELEVATE” I BANCOMAT 

Secondo quanto ha raccontato il pentito Zignale “…era Salvatore Crimi  la persona che per il clan autorizzava alcune persone di Adrano a fare le cosiddette “spaccate” dei bancomat Lui sostanzialmente organizzava tali delitti mandando persone del clan a rompere i bancomat per saccheggiarli ed il provento andava a lui quale responsabile della cassa della famiglia. Lo so anche perché in una occasione mi hanno coinvolto in quanto mio cognato mi chiese in prestito il garage per mettere dentro la cassaforte che poi doveva essere tagliata”.
I magistrati si soffermano su una rapina compiuta il 27 novembre 2015 ai danni della Banca Unicredit di Adrano e parlano di “azione delittuosa pianificata nei minimi particolari”. Lo stesso giorno, infatti, sulla strada statale 284, direzione Bronte, viene dato alle fiamme un furgone Fiat Fiorino con dentro decine di pneumatici. Una manovra diversiva e di oggettivo ostacolo che ha tenuto impegnati gli operatori di polizia nelle stesse ore in cui gli uomini del clan compivano la rapina.

DISTRIBUZIONE CARNI: GLI INTERESSI DEL CLAN

La cosca ‘Taccuni’, spiegano i magistrati, esercitava un controllo anche nella distribuzione delle carni. Viene riportata una intercettazione del novembre 2014; dentro un’automobile ci sono Rosario Galati e Vincenzo Bulla (entrambi arrestati ieri). I due fermano un uomo che distribuisce carne con un camion. “Sta andando a scaricare carne? Non la può andare a scaricare oggi. Oggi no…gli chiami al tuo principale…e fai venire il tuo principale”.

LE UTENZE “CITOFONO”

Per eludere i controlli delle forze di polizia, il clan si avvaleva di una serie di telefonini intestati a cittadini extracomunitari. Sono le cosiddette “utenze citofono”. Una di queste era in un uso a Gianni Santangelo. Il 16 marzo del 2016 “Giannetto” invia questo messaggio: “Notte glielo detto a paterno a breve ci fa sapere per la mangiata e ti faccio sapere oknotte”.

L’ASSALTO ALLA VILLA E I 480 MILA EURO RUBATI

 “I rapinatori – racconta Antonino Zignale – erano mio cognato Nicola Trovato, Vincenzo Bulla, Nicola D’Agate, Maurizio Pignataro e Rosario Galati. I mandanti erano sicuramente i capi della famiglia Santangelo in quanto si sapeva che in quella villa c’erano custoditi molti soldi e la refurtiva sarebbe servita a finanziare le casse della famiglia Santangelo. So anche che i Santangelo avevano ricevuto informazioni da un basista, ma non mi fu riferito chi fosse.

“La mattina successiva i soldi sono stati portati ad Antonino Crimi. Quest’ultimo li contò ed il totale era di circa 480.000 euro. Ricordo che quando uscì l’articolo sul giornale, lessi che l’importo della somma rapinata era di circa 120.000 euro”. Una delle vittime della rapina conferma le dichiarazioni di Zignale e di un altro pentito: “Dell’intercapedine (dov’erano nascosti i soldi ndr) ne eravamo a conoscenza solo io mia madre ed il mio ex compagno…i soldi erano all’interno di una busta in cellophane e dentro una borsetta termica, tutte a mazzette da 50,100, 200 e 500 la maggior parte nastrati con il timbro della Banca, non ricordo se vi erano apposti dei numeri. “Ricordo perfettamente che quando ho ceduto ai rapinatori, a causa delle violente percosse che avevano causato al mio compagno e a mia madre, loro stessi mi hanno direttamente portato dove c’era la cassaforte dicendomi anche che c’erano i soldi, quindi sapevano perfettamente dove andare e cosa trovare. (…) per quello che mi ha raccontato mia madre è stata malmenata in viso e addirittura la stavano quasi soffocando con un cuscino, ricordo che mi disse che uno dei rapinatori, il più giovane e meno cattivo, che la costringeva a letto impauritosi perché colta da malore cercava di tranquillizzarla dandogli anche dell’acqua e dicendogli di non preoccuparsi, mia madre capiva che era il più giovane solo dalle sembianze e dalla voce pur essendo travisato”.

IL POLIZIOTTO DI NOME FRANCESCO

Ai magistrati Zignale chiarisce il ruolo di Francesco Palana, il poliziotto arrestato nell’ambito dell’operazione di ieri, già sospeso dal servizio. “Lui era molto disponibile in quanto assuntore di cocaina mi chiedeva se ne avevo per lui. Lo stesso in una occasione mi disse che aveva amici a Barcellona Pozzo di Gotto con i quali poteva piazzare la cocaina e mi chiedeva di poter comprare cocaina. Io ho raccontato questa cosa inizialmente a Tonino Bulla e Antonino La Mela che però mi dissero di non fidarmi e non dargli cocaina”.
Anche Valerio Rosano parla del poliziotto: “ Io ho saputo in carcere… che c’era un poliziotto del commissariato di Adrano che era molto vicino a Salvatore Crimi e che ci forniva informazioni sulle indagini e sulle operazioni in corso, e percepiva uno stipendio mensile dal clan di 1000 euro. Lo stesso inoltre acquistava da noi la cocaina e la rivendeva nel suo paese che se ben ricordo è Barcellona Pozzo di Gotto. “Ricordo che in occasione dell’operazione denominata “Adernò ” Zignale si lamentava del fatto che questo poliziotto aveva avvisato il clan ma non aveva detto nulla allo stesso Zignale ed a mio fratello Francesco che non avevano potuto nascondersi, mentre gli altri avevano potuto nascondersi grazie alle sue informazioni. Io non l’ho mai visto e per questo non posso riconoscerlo in foto”.

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